La genesi di Parthenope narrata attraverso le differenti prospettive delle sue creatrici, Fortuna Imperatore aka Axel Fox e Francesca Balestri, fondatrici di Katabasi Studio.

Parthenope

Come possono due animi dissimili, due visioni fortemente in contrasto, appianare le loro differenze, trovare un punto d’incontro e lavorare armonicamente alla creazione di un progetto? E’ questo il primo muro immaginario che Fortuna Imperatore, aka Axel Fox, e Francesca Balestri sono state chiamate ad abbattere con lo sviluppo del concept di Parthenope. Un progetto autoriale dal grande potenziale e dagli standard particolarmente elevati, concepito dalle menti di due giovani creative dotate di una spiccata sensibilità artistica. 

Da una parte Fortuna, giovane sviluppatrice autodidatta che senza alcuna conoscenza ed esperienza preliminare nel mondo del game design, ha saputo trasformare rapidamente la sua vita, infondendo costanza, ricerca, dedizione e studio per realizzare ciò che poco tempo prima era solo un sogno nel cassetto nel suo attuale mestiere. Sperimentazione, applicazione, metodo e tanta, tantissima gavetta: sono queste le principali fasi che hanno caratterizzato il suo percorso da sviluppatrice e che le hanno permesso, dapprima con Freud’s Bones e successivamente con Bluethroot, di affermarsi come una delle più promettenti figure dell’industria videoludica italiana.

Dall’altra parte abbiamo Francesca, una giovane artista con un importante background videoludico alle spalle, che ha acquisito le sue competenze e conoscenze in campo artistico grazie a una lunga e profonda formazione professionale come Art Director & 3D Artist, oltre che come docente presso la Scuola Internazionale di Comics di Firenze. Conosciuta su Twitch con lo pseudonimo “be_frankie”, Francesca è un’esperta e navigata videogiocatrice, dotata di una profonda comprensione del mondo videoludico, come evidenziato dai suoi numerosi contenuti web dedicati all’informazione e alla critica videoludica.

Durante uno di questi incontri, in cui Fortuna è stata ospite da Francesca per discutere di Freud’s Bones, è scaturito un profondo scambio di idee, visioni e prospettive che ha dato il via al primo embrione di Parthenope. Un’opera raffinata e allo stesso tempo estremamente popolare, dedicata a raccontare senza compromessi la bellezza, la passione, la carnalità, la diversità e soprattutto l’autenticità della città di Napoli.

Abbiamo avuto l’opportunità di accogliere Fortuna e Francesca – alle quali siamo grati per aver accettato il nostro invito – ai nostri microfoni per porre loro alcune domande, con l’intento di ricostruire la storia di Parthenope, svelarne l’essenza e scoprire alcune delle sorprese che le due talentuose autrici hanno in serbo per noi con lo sviluppo di questo progetto, oltre ad approfondire la loro esperienza. Per saperne di più, vi invitiamo a seguirci.

Parthenope

L’Intervista


(Francesca): Ci siamo conosciute grazie al progetto Freud’s Bones. Io stavo facendo svariate ricerche su prodotti videoludici che integrassero la psicologia nei sistemi narrativi e, con mia grande sorpresa, i risultati furono pressoché scarsi, tranne che per il progetto di Fortuna, che era allora in sviluppo. All’inizio non c’erano molte informazioni, ma ne rimasi colpita e così le chiesi di fare un’intervista in live streaming. Fu un confronto particolarmente stimolante che abbiamo continuato anche a telecamere spente, e che ci ha portato qui oggi. Da quel momento abbiamo proseguito lungo un percorso iniziato con Fortuna.

Freud’s Bones è nato dall’urgenza di Fortuna, mentre Parthenope nasce da un altro tipo di urgenza, ma che ci accomuna e che abbiamo deciso di esprimere attraverso questo nuovo progetto.

(Fortuna): Allora, io ho sempre videogiocato e penso che insieme al calcio, i videogiochi fossero la mia ossessione da piccola, una vera e propria bruciante ossessione. Mi ricordo di aver giocato a Tombi e di non aver dormito per giocarci, oppure giocavo a Broken Sword. Per me, era un tipo di realtà sovrascritta alla realtà che mi dava un senso profondo di gioia. Giocavo con i miei cugini e con mio fratello, e quel cerchio magico che si creava era una sensazione che ho rincorso per tutta la vita adulta. Vorresti costantemente ritrovare quel senso di pace, isolamento dal mondo e incoscienza.

Mi sono avvicinata a questi titoli qui, a Tombi,  Broken Sword, giocavo tanto a giochi di calcio e a Spyro. Sono millennial, e solo in un secondo momento, durante l’adolescenza, ho abbandonato questa passione perché ho pensato di vivere. Poi ci ritorni quando vai in crisi, quando ti rendi conto che la letteratura e la filosofia creano tante domande ma risolvono poco. Sono tornata ai videogiochi con Life is Strange, che mi ha sconvolto parecchio la vita per tutte le tematiche mature. Riscoprì il videogioco e pensai che si era evoluto, come mi ero evoluta io. Da lì, non li ho più abbandonati.

Per quanto riguarda il background da giocatrice, è questo. Entrare nel mondo dei videogiochi in Italia per me è stato come sfondare porte a calci, ma non ho avuto tante difficoltà ad essere accolta. Ho tanti detrattori, tuttavia mi hanno lasciata entrare perché erano molto incuriositi dal mio atteggiamento. Quello che consiglio sempre è cercare di farsi portavoce di carattere e originalità, anche a livello tematico. Quella è l’unica strada che conosco.

Katabasi Studio Fortuna

(Fortuna): Sì, non avevo mai fatto niente prima, non sapevo neanche che esistesse la stampa videoludica. Non immaginavo neanche che ci fosse un’attenzione per i videogiochi in Italia nel 2018.

Ora si sta concretizzando di più, soprattutto dopo gli anni 2000. È un mondo parecchio grande in Italia e sta prendendo serietà. Prima era visto quasi come una cosa per reietti della società: chi giocava ai videogiochi o guardava gli anime. Oggi essere “nerd” è diventato figo, grazie anche alle serie TV. Una volta era diverso, ma è un tipo di medium che si è andato definendo.

(Fortuna): Quando ho scritto questa tesi sull’autopoiesi, ho pensato principalmente a come il videogioco avesse innescato in me una potente sensazione di rinascita, però in maniera volontaria. Fino a un certo punto della propria vita si è soggetti a tutta una serie di forze sociali e familiari che ci modellano e ci strutturano come uno stampo. Poi arriva un momento di lucidità, un po’ nietzschiano, in cui si decide come si vuole essere.

Il videogioco mi è venuto in soccorso perché ha cominciato a darmi dei modelli a cui potessi ispirarmi. Ho iniziato a rinascere, prendendo delle parti della mia personalità quasi a livello ingegneristico e potenziandole. Non ero una persona strategica, ero molto ingenua e fondamentalmente buona, ma anche molto tenera a livello emotivo. I videogiochi mi hanno fatto capire che mi mancavano delle abilità che volevo avere, quindi mi sono ricostruita, integrando nella mia personalità tutte le esperienze che ho vissuto nei videogiochi.

Ho assorbito elementi da giochi come Hitman, Far Cry e The Last of Us, costruendo una nuova personalità anche da un punto di vista mediatico. Non è stato un processo studiato a tavolino, ma piuttosto una vocazione naturale. Alcune persone sono portate a mostrarsi a livello carismatico e io pensavo di non esserlo. Il videogioco mi ha insegnato questo.

La mia tesi è tutta su questo mondo virtuale che io trovo molto virtuoso. I videogiochi portano messaggi e valori che nella società non vediamo, e sono molto oltre il cinema e la letteratura. Sono capaci di educare a livello spirituale. Per questo la mia tesi gira intorno a questo concetto.

Katabasi Studio Fortuna

(Fortuna): Io ho studiato psicologia all’università, ma non mi ritengo una vera appassionata del campo. L’università non mi ha lasciato nessuna curiosità maggiore o competenza significativa, e la laurea per me non ha molto valore. Ho scelto di studiare psicologia perché volevo diventare una terapeuta, ma poi ho cambiato idea durante il percorso.

La mia è un’esigenza espressiva: per me, a livello artistico, è un’espressione di qualcosa che sento dentro. Ho vissuto molte crisi su tanti aspetti che il videogioco riesce a esorcizzare. Ho capito che il videogioco fa leva su tutti gli aspetti della personalità degli altri, permettendo loro di esorcizzare cose tramite il gioco. Freud’s Bones è servito a questo: persone che non avevano mai iniziato un percorso terapeutico mi hanno scritto messaggi commossi, raccontando di aver giocato fino a notte fonda, toccate profondamente dal gioco.

Penso di aver avuto l’intuizione giusta, cioè che Freud’s Bones non parlasse solo di me, che non fosse un gioco autoreferenziale. In realtà, quella crisi è molto ampia e universale, e molti si sono ritrovati in essa. Il potere del medium videoludico è questo, simile al cinema, ma meno conosciuto. Ho lasciato andare questo prodotto e poi è stato in grado di rintracciare dolori altrui. Anche Freud’s Bones è così: ho bisogno di instillare nelle persone l’autoanalisi, perché sono una persona profondamente analitica.

(Francesca): Ho frequentato il liceo artistico di Lucca con indirizzo sperimentale e successivamente la Facoltà di Architettura a Firenze. Questo percorso mi ha trasmesso una metodologia, anche se in modo alterno. Gli studi hanno costituito una base importante, ma il bagaglio più rilevante posso dire di essermelo costruito in autonomia.

Stranamente, credo che la mia fonte principale di ispirazione sia la letteratura. È curioso, perché mi fu fortemente suggerito di intraprendere studi classici in preadolescenza, cosa che ho sempre mal digerito. Ho intrapreso studi artistici come forma di ribellione, e devo dire che la mia famiglia mi ha sempre lasciato molto libera.

La letteratura ha stimolato la mia fantasia e creatività sin da bambina. Credo che le parole abbiano una forma, un colore e un suono anche estrapolate dal loro contesto. Spesso le immagino all’interno della mia mente come una scatola nera vuota, dove vedo affiorare queste parole. Proiettandole su più piani, risalgo alla loro figura spaziale, trasformando la parola in immagine.

Da bambina, questo processo era molto doloroso. Non ero una bambina prodigio, ma molto curiosa e mi piaceva leggere. Ricordo di aver letto Victor Hugo senza conoscere molte delle parole che trovavo nei suoi testi. Sostituire quelle parole con immagini era estenuante, ma si è rivelato un ottimo allenamento.

Katabasi Studio Francesca

(Francesca): E’ stato un processo graduale. Banalmente, ero stufa di essere unicamente una fruitrice, e lo ero ancor prima di quel lontano 2019, che a me sembra molto lontano.

Per motivi strettamente personali, non ero ancora pronta ad intraprendere un’impresa come quella che sto vivendo adesso con Fortuna. Anche se accarezzavo l’idea, facevo ricerca e poi, insomma, intrapresi questa strada.

Prima del 2019, versavo in una condizione di profondo isolamento. Sono una persona che necessita di solitudine, ma in quegli anni credo fosse troppo anche per me. Cercavo disperatamente un confronto attivo, volevo studiare, capire, sviscerare il videogioco, creare un dibattito. Volevo trasmettere la mia visione e che qualcuno mi trasmettesse la sua. Poi ho conosciuto Fortuna, e credo che lei abbia aperto spiragli su prospettive da me dimenticate.

La verità è che non sapevo chi o cosa stessi cercando finché non è apparsa lei nella mia vita. Lei ha risvegliato in me desideri sepolti sotto infiniti strati di parole. In quel momento, ho capito che non volevo più solo parlare, volevo creare e farlo insieme a lei. Posso dire di aver trovato una sorta di gemella eterozigota con una visione condivisa

(Fortuna): Come slogan, diciamo che tutto quello che faccio non segue un percorso molto ragionato. Vorrei sfatare il mito che dietro le mie creazioni ci siano mesi di pianificazione. Di solito, le idee nascono in pochi minuti. Lo slogan del collettivo, ad esempio, l’ho deciso in due minuti.

Il mio cervello riesce a sintetizzare concetti complessi rapidamente. Con Francesca, abbiamo cercato di sviluppare un’idea artistica per il collettivo che vada oltre la semplice software house che crea videogiochi. Abbiamo una visione simile a quella della Factory di Warhol o a Lady Gaga, avvicinandoci a vari medium e non solo al videogioco.

Se si chiede a una software house qual è il loro metodo di lavoro, emergeranno spesso luoghi comuni e schemi rigidi. Questo spiega perché molti videogiochi, a meno che non siano molto autoriali, non lasciano un segno. Seguono strade poco originali. Il nostro obiettivo è andare oltre l’intrattenimento e oltre il pubblico tradizionale dei videogiochi. Puntiamo anche a chi non ha mai acceso un videogioco. Già solo pubblicando il trailer, abbiamo ricevuto feedback da persone che odiavano i videogiochi ma erano interessate a provarlo.

Vogliamo rompere il pregiudizio nei confronti dei videogiochi e diventare iconici. Abbiamo unito le nostre visioni, fatto scouting e trovato ragazzi che non hanno problemi a lavorare con due leader donne, cosa rara nel settore. Questi ragazzi sono curiosi e volenterosi di sperimentare. Non si sono mai preoccupati di orari o soldi, avevano fame di mettere le mani su un progetto.

Ognuno ha portato qualcuno o un contatto, creando un gruppo di persone appassionate del lato artistico dei videogiochi. Nessuno di loro ha mai voluto fare un semplice sparatutto; tutti volevano creare giochi profondi che emozionino. Ora siamo alla ricerca di investitori per questa idea.

Katabasi Studio team

(Francesca): Hai citato Dante, e mi viene in mente il primo verso del primo canto della Divina Commedia. Avevo 30 anni e non riconoscevo più la persona che vedevo nello specchio. Mi trovavo letteralmente sulla soglia di un baratro infernale. Potevo rimanere immobile su quella soglia per sempre, oppure gettarmi dentro e affrontare le ombre. Ho scelto la seconda opzione e credo di sceglierla ogni giorno. Ho accettato le mie ombre e voglio continuare a farlo.

L’unico modo per non rimanere immobili è questo: dalla staticità non nasce nulla. Napoli mi aiuta in questo. Napoli accoglie ogni parte di te, anche quella più oscura. Napoli non giudica, ma rende libera la narrazione che facciamo di noi stessi. E letteralmente, a Napoli non puoi far altro che discendere, sia in senso fisico che intrapsichico.

Credo che questo, almeno secondo la mia visione, coincida molto con la visione di Fortuna. Questo è l’unico modo per raccontare Napoli e quindi Parthenope.

(Francesca): Nel mio caso, è stata Napoli a scegliere me per due volte. È stato un richiamo lungo più di dieci anni, e ho seguito quel richiamo. A un certo punto, era una conversazione che non potevo più rimandare. Mi sono resa conto, soprattutto negli ultimi anni, che questa terra è letteralmente un essere vivente che sa comunicare, che ti ascolta, ma che vuole anche essere ascoltata. Pertanto sì, sono stata irretita dalla città, non sono stata io a sceglierla.

(Fortuna): Nel mio caso, è più una questione carnale e di odio profondo. Ho vissuto più odio verso questa terra che amore. L’ho percepita come una matrigna, un sentimento materno distorto. Ho lottato contro l’idealizzazione di Napoli, contro chi ne descriveva solo le bellezze. Per un periodo, seguivo molto Saviano e attraverso lui ho voluto guardare l’abisso di questa città, in contrasto con le cartoline che la ritraevano idilliaca. Ho adottato per anni quella visione e il desiderio di scappare, comune a chi la vive intensamente, perché ti senti tradito, vivendo in un posto di una bellezza mozzafiato che, però, sembra non avere spazio per te.

Ricordo la mia irritazione quando vedevo il murales a Posillipo con scritto “Ti guardo e mi innamoro”, riferito alla città. Questo innamoramento costante lo ritenevo un privilegio di Roma. All’inizio, mi dava fastidio pensare alla bellezza sprecata di Napoli, che ti stordisce e ti addormenta. Mi chiedevo perché tutto il resto non funzionasse e sentivo che la città non aveva un posto per me.

Solo dopo ho capito di assomigliare a Napoli. Le mie abilità, il mio animo, il mio cuore sono profondamente napoletani. Amo e odio come fanno i napoletani. Ragiono fuori dagli schemi perché mi sento sempre oppressa, come i napoletani. Senza voler far del male, cerco un modo per infiltrarmi nel sistema.

Mi sono innamorata di Napoli dopo aver superato la mia crisi esistenziale con Freud’s Bones. Ora, sento il bisogno di parlare di questo legame e di come credo che ci sia un napoletano dentro tutti noi, una parte che va evocata. È questa parte napoletana che ci può aiutare ad aderire a noi stessi, ad accettare di non essere schiacciati. Napoli ti insegna a vincere, in qualche modo, a raggiungere un obiettivo, qualunque siano i mezzi. Per me, amare Napoli è ora molto più consapevole.

Parthenope

(Francesca): Ce ne sono molteplici, in realtà. Napoli ha una storia e una cultura estremamente vasta e profondamente interconnessa. Senza parlare dei personaggi storici e mitologici che l’hanno abitata. Ci sono certe epoche che hanno segnato un punto di svolta, sia positivo che negativo, e di cui avvertiamo ancora gli effetti oggi.

Una di queste epoche è stata la dominazione spagnola, che si è protratta per circa 200 anni e ha mutato drasticamente la realtà napoletana in ogni suo aspetto. Tuttavia, non abbiamo dato una definizione precisa di quando si svolgerà tutta la storia ambientata dentro Parthenope. Ci saranno molti riferimenti a diverse epoche storiche, anche se non possiamo analizzarle tutte. Le più importanti e decisive le ritroveremo nel gioco.

(Fortuna): Posso dire che abbiamo dedicato molto tempo a costruire un bestiario napoletano. Le figure, i miti e il folklore sono stati trattati con un approccio che evita la narrazione macchiettistica, puntando piuttosto su una dimensione carnevalesca, ma anche tragica e tragicomica.

Mi riferisco al Munaciello, alla Janara, ma anche alle ciucciuvettole, ovvero le donne gobbe che avevano un aspetto simile a gufi o civette e che si appollaiavano sui balconi per osservare le persone e farsi notare come pettegole. Abbiamo cercato di enfatizzare alcuni tratti del corpo piuttosto che creare un bestiario di mostri veri e propri.

Il nostro obiettivo non è realizzare un bestiario popolato da mostri concreti, ma far comprendere al giocatore che alcuni aspetti morfologici dei napoletani vengono estremizzati per inserirli in una particolare categoria di esseri. Quando siamo noi stessi a definirci “bestie”, va bene; se lo dicono gli altri, è un problema. Quindi, se dico che siamo delle bestie, va benissimo, perché ognuno di noi rientra in quelle categorie.

Per quanto riguarda le leggende, abbiamo selezionato con attenzione una vasta gamma di miti e storie. Questi verranno rappresentati come subquest, alcune delle quali si allontanano dalla mitologia tradizionale per avvicinarsi a miti più moderni e a una sorta di santificazione di figure contemporanee.

(Francesca): Io, in questo senso, cerco un po’ di fungere da contraltare. Tengo molto alla fedeltà storica e culturale, quindi ci rivolgiamo non solo a chi non conosce Napoli e le sue leggende, ma anche a chi è nato, cresciuto e magari vive ancora a Napoli. Tuttavia, non vogliamo che questo limiti la nostra creatività o la libertà di interpretazione.

(Fortuna): Per quanto riguarda la sirena, ad esempio, Francesca ha condotto una ricerca approfondita e ha deciso di abbandonare l’immagine tradizionale della sirena con la coda di pesce. Non utilizzeremo la sirena con la coda di pesce, ma rappresenteremo Partenope come una sirena greca, più simile a una donna-uccello o a un’arpia. Anche se l’immagine romantica che avevo in mente non era storicamente corretta, abbiamo deciso di rappresentare la verità. Partenope, nella sua forma autentica, era metà donna e metà uccello. Questa rappresentazione ha molto più senso e si sposa meglio con il concetto dell’uovo di Virgilio, il che ci aiuta anche a livello simbolico e promozionale.

 Parthenope

(Fortuna): Io ho sempre cercato da autrice indipendente di crearmela, all’inizio almeno, un marchio di fabbrica. Successivamente, ho realizzato che nelle opere che ho pubblicato è emerso un forte focus sull’interiorità e sulla profondità dei temi umani, legati non solo alla psicologia ma all’essenza stessa dell’umano. Perciò anche in Parthenope, da un punto di vista narrativo e stilistico, nonostante questa volta non lavorerò da sola ma insieme a Francesca, sarà presente una scrittura rigorosamente senza filtri, priva di qualunque tipo di sovrastruttura rigida, molto diretta e anche molto perturbante.

Bluethroot

Come sapete, nelle mie opere cerco sempre di provocare e, anche in Parthenope, continuerò su questa strada di profonda provocazione, che credo raggiungerà un picco che fino ad ora non sono riuscita ancora a raggiungere, neanche con Freud’s Bones. Nonostante si trattasse di un’opera libera, dove avevo pieno controllo della libertà creativa e autoriale del progetto, non sono riuscita a esprimere appieno per limiti tecnici, di tempo, di ingenuità e anche di timore, per certi versi

In Freud’s Bones, c’erano elementi di nudità e riferimenti sessuali, tuttavia la sezione era ridotta, e questo non ha suscitato particolare scalpore o l’effetto finale che desideravo. In Parthenope, invece, mi sentirò ancora più libera, specialmente perché Napoli offre un terreno fertile per questo tipo di approccio. Pertanto, ho assolutamente intenzione di proseguire su questa strada, ma compiendo al contempo un importante passo in avanti.

Freud's Bones

Conclusioni

Siamo giunti alla fine di questa interessante e ricca intervista che Fortuna e Francesca ci hanno gentilmente concesso. Siamo molto grati a entrambe per aver condiviso con noi preziosi dettagli e aneddoti delle loro esperienze relative al meraviglioso mondo dei videogiochi, e al loro nuovo progetto Parthenope, che non vediamo l’ora di poter provare.

Per scoprire ulteriori dettagli su Parthenope, vi invitiamo a visitare il sito ufficiale di Katabasi Studio e i profili LinkedIn di Fortuna Imperatore e Francesca Balestri, dove potrete approfondire la loro storia, il percorso artistico e ricevere tutti gli aggiornamenti sui loro progetti futuri.

Grazie per averci seguito anche oggi. Alla prossima!

Katbasi Studio
Cresciuto con MediEvil e DOOM e affascinato dal mondo videoludico dal 1998. Questa passione nasce dalla voglia di scoprire e ricercare il videogioco a 360 gradi, con particolare attenzione al panorama Indie.
Sono un'artista italiana che ha iniziato un po' tardi ad appassionarsi al mondo dei giochi ma che se ne è innamorata subito. Non sono una gran giocatrice e scelgo titoli che si adattino alle mie preferenze personali, ma posso apprezzare soprattutto i contenuti grafici e le soluzioni artistiche. Inoltre, sto imparando a conoscere anche tutte le affascinanti funzionalità del game development.