La genesi di Parthenope narrata attraverso le differenti prospettive delle sue creatrici, Fortuna Imperatore aka Axel Fox e Francesca Balestri, fondatrici di Katabasi Studio.
Come possono due animi dissimili, due visioni fortemente in contrasto, appianare le loro differenze, trovare un punto d’incontro e lavorare armonicamente alla creazione di un progetto? E’ questo il primo muro immaginario che Fortuna Imperatore, aka Axel Fox, e Francesca Balestri sono state chiamate ad abbattere con lo sviluppo del concept di Parthenope. Un progetto autoriale dal grande potenziale e dagli standard particolarmente elevati, concepito dalle menti di due giovani creative dotate di una spiccata sensibilità artistica.
Da una parte Fortuna, giovane sviluppatrice autodidatta che senza alcuna conoscenza ed esperienza preliminare nel mondo del game design, ha saputo trasformare rapidamente la sua vita, infondendo costanza, ricerca, dedizione e studio per realizzare ciò che poco tempo prima era solo un sogno nel cassetto nel suo attuale mestiere. Sperimentazione, applicazione, metodo e tanta, tantissima gavetta: sono queste le principali fasi che hanno caratterizzato il suo percorso da sviluppatrice e che le hanno permesso, dapprima con Freud’s Bones e successivamente con Bluethroot, di affermarsi come una delle più promettenti figure dell’industria videoludica italiana.
Dall’altra parte abbiamo Francesca, una giovane artista con un importante background videoludico alle spalle, che ha acquisito le sue competenze e conoscenze in campo artistico grazie a una lunga e profonda formazione professionale come Art Director & 3D Artist, oltre che come docente presso la Scuola Internazionale di Comics di Firenze. Conosciuta su Twitch con lo pseudonimo “be_frankie”, Francesca è un’esperta e navigata videogiocatrice, dotata di una profonda comprensione del mondo videoludico, come evidenziato dai suoi numerosi contenuti web dedicati all’informazione e alla critica videoludica.
Durante uno di questi incontri, in cui Fortuna è stata ospite da Francesca per discutere di Freud’s Bones, è scaturito un profondo scambio di idee, visioni e prospettive che ha dato il via al primo embrione di Parthenope. Un’opera raffinata e allo stesso tempo estremamente popolare, dedicata a raccontare senza compromessi la bellezza, la passione, la carnalità, la diversità e soprattutto l’autenticità della città di Napoli.
Abbiamo avuto l’opportunità di accogliere Fortuna e Francesca – alle quali siamo grati per aver accettato il nostro invito – ai nostri microfoni per porre loro alcune domande, con l’intento di ricostruire la storia di Parthenope, svelarne l’essenza e scoprire alcune delle sorprese che le due talentuose autrici hanno in serbo per noi con lo sviluppo di questo progetto, oltre ad approfondire la loro esperienza. Per saperne di più, vi invitiamo a seguirci.
L’Intervista
Permetteteci di dare inizio all’intervista con una domanda piuttosto introduttiva, ma altrettanto necessaria per ricostruire la vostra storia individuale e collettiva, nonché per scavare più a fondo, verso le origini del progetto Parthenope. In quale occasione e contesto vi siete conosciute e incontrate? E soprattutto, quali sono state le motivazioni che vi hanno spinto a concepire e realizzare un progetto creativo di tale portata e ambizione?
(Francesca): Ci siamo conosciute grazie al progetto Freud’s Bones. Io stavo facendo svariate ricerche su prodotti videoludici che integrassero la psicologia nei sistemi narrativi e, con mia grande sorpresa, i risultati furono pressoché scarsi, tranne che per il progetto di Fortuna, che era allora in sviluppo. All’inizio non c’erano molte informazioni, ma ne rimasi colpita e così le chiesi di fare un’intervista in live streaming. Fu un confronto particolarmente stimolante che abbiamo continuato anche a telecamere spente, e che ci ha portato qui oggi. Da quel momento abbiamo proseguito lungo un percorso iniziato con Fortuna.
Freud’s Bones è nato dall’urgenza di Fortuna, mentre Parthenope nasce da un altro tipo di urgenza, ma che ci accomuna e che abbiamo deciso di esprimere attraverso questo nuovo progetto.
Fortuna, è innegabile che tu sia una delle personalità più interessanti e complesse del panorama videoludico indipendente italiano, una mente artistica a 360°, dotata di una personalità eclettica e fortemente innovativa. Il tuo approccio al game design si distingue per l’originalità straordinaria e per la profondità socio-psicologica dei temi trattati. Tuttavia, facendo un passo indietro, ti andrebbe di raccontarci qualcosa di più sul tuo background come videogiocatrice e su come ti sei avvicinata professionalmente al mondo videoludico?
(Fortuna): Allora, io ho sempre videogiocato e penso che insieme al calcio, i videogiochi fossero la mia ossessione da piccola, una vera e propria bruciante ossessione. Mi ricordo di aver giocato a Tombi e di non aver dormito per giocarci, oppure giocavo a Broken Sword. Per me, era un tipo di realtà sovrascritta alla realtà che mi dava un senso profondo di gioia. Giocavo con i miei cugini e con mio fratello, e quel cerchio magico che si creava era una sensazione che ho rincorso per tutta la vita adulta. Vorresti costantemente ritrovare quel senso di pace, isolamento dal mondo e incoscienza.
Mi sono avvicinata a questi titoli qui, a Tombi, Broken Sword, giocavo tanto a giochi di calcio e a Spyro. Sono millennial, e solo in un secondo momento, durante l’adolescenza, ho abbandonato questa passione perché ho pensato di vivere. Poi ci ritorni quando vai in crisi, quando ti rendi conto che la letteratura e la filosofia creano tante domande ma risolvono poco. Sono tornata ai videogiochi con Life is Strange, che mi ha sconvolto parecchio la vita per tutte le tematiche mature. Riscoprì il videogioco e pensai che si era evoluto, come mi ero evoluta io. Da lì, non li ho più abbandonati.
Per quanto riguarda il background da giocatrice, è questo. Entrare nel mondo dei videogiochi in Italia per me è stato come sfondare porte a calci, ma non ho avuto tante difficoltà ad essere accolta. Ho tanti detrattori, tuttavia mi hanno lasciata entrare perché erano molto incuriositi dal mio atteggiamento. Quello che consiglio sempre è cercare di farsi portavoce di carattere e originalità, anche a livello tematico. Quella è l’unica strada che conosco.
Tu hai iniziato esclusivamente come sviluppatrice solista, giusto?
(Fortuna): Sì, non avevo mai fatto niente prima, non sapevo neanche che esistesse la stampa videoludica. Non immaginavo neanche che ci fosse un’attenzione per i videogiochi in Italia nel 2018.
Ora si sta concretizzando di più, soprattutto dopo gli anni 2000. È un mondo parecchio grande in Italia e sta prendendo serietà. Prima era visto quasi come una cosa per reietti della società: chi giocava ai videogiochi o guardava gli anime. Oggi essere “nerd” è diventato figo, grazie anche alle serie TV. Una volta era diverso, ma è un tipo di medium che si è andato definendo.
Nel tuo longevo percorso di studi, hai conseguito un master in “Antropologia esistenziale e Consulenza filosofica” presso l’Università Europea di Roma con una tesi dal titolo “Auto-poiesi nel mondo videoludico”, tra le cui pagine esponi la tua personale teoria circa il potere creativo e filosofico di alcuni videogiochi. Ti andrebbe di illustrarci più nel dettaglio questa visione e, soprattutto, qual è per te il grande potere del videogioco in quanto medium?
(Fortuna): Quando ho scritto questa tesi sull’autopoiesi, ho pensato principalmente a come il videogioco avesse innescato in me una potente sensazione di rinascita, però in maniera volontaria. Fino a un certo punto della propria vita si è soggetti a tutta una serie di forze sociali e familiari che ci modellano e ci strutturano come uno stampo. Poi arriva un momento di lucidità, un po’ nietzschiano, in cui si decide come si vuole essere.
Il videogioco mi è venuto in soccorso perché ha cominciato a darmi dei modelli a cui potessi ispirarmi. Ho iniziato a rinascere, prendendo delle parti della mia personalità quasi a livello ingegneristico e potenziandole. Non ero una persona strategica, ero molto ingenua e fondamentalmente buona, ma anche molto tenera a livello emotivo. I videogiochi mi hanno fatto capire che mi mancavano delle abilità che volevo avere, quindi mi sono ricostruita, integrando nella mia personalità tutte le esperienze che ho vissuto nei videogiochi.
Ho assorbito elementi da giochi come Hitman, Far Cry e The Last of Us, costruendo una nuova personalità anche da un punto di vista mediatico. Non è stato un processo studiato a tavolino, ma piuttosto una vocazione naturale. Alcune persone sono portate a mostrarsi a livello carismatico e io pensavo di non esserlo. Il videogioco mi ha insegnato questo.
La mia tesi è tutta su questo mondo virtuale che io trovo molto virtuoso. I videogiochi portano messaggi e valori che nella società non vediamo, e sono molto oltre il cinema e la letteratura. Sono capaci di educare a livello spirituale. Per questo la mia tesi gira intorno a questo concetto.
In che modo le tue competenze psicologiche influenzano la realizzazione di un videogioco? Il motivo per cui tratti determinate tematiche a tema psicologia deriva dalle tue conoscenze, una sorta di deformazione professionale, o senti l’esigenza e il bisogno di fare luce su certi argomenti?
(Fortuna): Io ho studiato psicologia all’università, ma non mi ritengo una vera appassionata del campo. L’università non mi ha lasciato nessuna curiosità maggiore o competenza significativa, e la laurea per me non ha molto valore. Ho scelto di studiare psicologia perché volevo diventare una terapeuta, ma poi ho cambiato idea durante il percorso.
La mia è un’esigenza espressiva: per me, a livello artistico, è un’espressione di qualcosa che sento dentro. Ho vissuto molte crisi su tanti aspetti che il videogioco riesce a esorcizzare. Ho capito che il videogioco fa leva su tutti gli aspetti della personalità degli altri, permettendo loro di esorcizzare cose tramite il gioco. Freud’s Bones è servito a questo: persone che non avevano mai iniziato un percorso terapeutico mi hanno scritto messaggi commossi, raccontando di aver giocato fino a notte fonda, toccate profondamente dal gioco.
Penso di aver avuto l’intuizione giusta, cioè che Freud’s Bones non parlasse solo di me, che non fosse un gioco autoreferenziale. In realtà, quella crisi è molto ampia e universale, e molti si sono ritrovati in essa. Il potere del medium videoludico è questo, simile al cinema, ma meno conosciuto. Ho lasciato andare questo prodotto e poi è stato in grado di rintracciare dolori altrui. Anche Freud’s Bones è così: ho bisogno di instillare nelle persone l’autoanalisi, perché sono una persona profondamente analitica.
Francesca, parliamo un po’ del tuo background. Hai seguito studi specifici nel campo artistico? Quali sono le tue fonti di ispirazione a livello stilistico?
(Francesca): Ho frequentato il liceo artistico di Lucca con indirizzo sperimentale e successivamente la Facoltà di Architettura a Firenze. Questo percorso mi ha trasmesso una metodologia, anche se in modo alterno. Gli studi hanno costituito una base importante, ma il bagaglio più rilevante posso dire di essermelo costruito in autonomia.
Stranamente, credo che la mia fonte principale di ispirazione sia la letteratura. È curioso, perché mi fu fortemente suggerito di intraprendere studi classici in preadolescenza, cosa che ho sempre mal digerito. Ho intrapreso studi artistici come forma di ribellione, e devo dire che la mia famiglia mi ha sempre lasciato molto libera.
La letteratura ha stimolato la mia fantasia e creatività sin da bambina. Credo che le parole abbiano una forma, un colore e un suono anche estrapolate dal loro contesto. Spesso le immagino all’interno della mia mente come una scatola nera vuota, dove vedo affiorare queste parole. Proiettandole su più piani, risalgo alla loro figura spaziale, trasformando la parola in immagine.
Da bambina, questo processo era molto doloroso. Non ero una bambina prodigio, ma molto curiosa e mi piaceva leggere. Ricordo di aver letto Victor Hugo senza conoscere molte delle parole che trovavo nei suoi testi. Sostituire quelle parole con immagini era estenuante, ma si è rivelato un ottimo allenamento.
Sul web sei conosciuta con il nome d’arte “be_frankie”, omonimo del tuo progetto, un canale nato agli inizi del 2019 come crocevia per l’approfondimento, il confronto e l’intrattenimento, grazie alla tua profonda conoscenza e competenza nel mondo videoludico. Ti andrebbe di raccontarci come è avvenuto il passaggio dall’essere fruitrice di un prodotto al diventarne produttrice? Quando e perché hai scelto di intraprendere la strada del game design e diventare parte integrante dello sviluppo di un videogioco, specializzandoti nell’art design? Avviene tutto in modo spontaneo, quasi come se si accendesse una scintilla in un determinato momento, o è un processo più graduale che prende il via a mano a mano?
(Francesca): E’ stato un processo graduale. Banalmente, ero stufa di essere unicamente una fruitrice, e lo ero ancor prima di quel lontano 2019, che a me sembra molto lontano.
Per motivi strettamente personali, non ero ancora pronta ad intraprendere un’impresa come quella che sto vivendo adesso con Fortuna. Anche se accarezzavo l’idea, facevo ricerca e poi, insomma, intrapresi questa strada.
Prima del 2019, versavo in una condizione di profondo isolamento. Sono una persona che necessita di solitudine, ma in quegli anni credo fosse troppo anche per me. Cercavo disperatamente un confronto attivo, volevo studiare, capire, sviscerare il videogioco, creare un dibattito. Volevo trasmettere la mia visione e che qualcuno mi trasmettesse la sua. Poi ho conosciuto Fortuna, e credo che lei abbia aperto spiragli su prospettive da me dimenticate.
La verità è che non sapevo chi o cosa stessi cercando finché non è apparsa lei nella mia vita. Lei ha risvegliato in me desideri sepolti sotto infiniti strati di parole. In quel momento, ho capito che non volevo più solo parlare, volevo creare e farlo insieme a lei. Posso dire di aver trovato una sorta di gemella eterozigota con una visione condivisa
Trascendere l’intrattenimento, aspirare all’iconicità, con un progetto che si pone l’obiettivo di valorizzare la libertà e la creatività autoriale delle sue due artefici. Questo è il biglietto da visita di Katabasi Studio, la compagnia di videogiochi indipendente da voi recentemente fondata. Vi andrebbe di ripercorrere la genesi dello studio e la visione da voi plasmata? Quale messaggio desiderate trasmettere, con quali mezzi e a quale pubblico intendete rivolgervi?
(Fortuna): Come slogan, diciamo che tutto quello che faccio non segue un percorso molto ragionato. Vorrei sfatare il mito che dietro le mie creazioni ci siano mesi di pianificazione. Di solito, le idee nascono in pochi minuti. Lo slogan del collettivo, ad esempio, l’ho deciso in due minuti.
Il mio cervello riesce a sintetizzare concetti complessi rapidamente. Con Francesca, abbiamo cercato di sviluppare un’idea artistica per il collettivo che vada oltre la semplice software house che crea videogiochi. Abbiamo una visione simile a quella della Factory di Warhol o a Lady Gaga, avvicinandoci a vari medium e non solo al videogioco.
Se si chiede a una software house qual è il loro metodo di lavoro, emergeranno spesso luoghi comuni e schemi rigidi. Questo spiega perché molti videogiochi, a meno che non siano molto autoriali, non lasciano un segno. Seguono strade poco originali. Il nostro obiettivo è andare oltre l’intrattenimento e oltre il pubblico tradizionale dei videogiochi. Puntiamo anche a chi non ha mai acceso un videogioco. Già solo pubblicando il trailer, abbiamo ricevuto feedback da persone che odiavano i videogiochi ma erano interessate a provarlo.
Vogliamo rompere il pregiudizio nei confronti dei videogiochi e diventare iconici. Abbiamo unito le nostre visioni, fatto scouting e trovato ragazzi che non hanno problemi a lavorare con due leader donne, cosa rara nel settore. Questi ragazzi sono curiosi e volenterosi di sperimentare. Non si sono mai preoccupati di orari o soldi, avevano fame di mettere le mani su un progetto.
Ognuno ha portato qualcuno o un contatto, creando un gruppo di persone appassionate del lato artistico dei videogiochi. Nessuno di loro ha mai voluto fare un semplice sparatutto; tutti volevano creare giochi profondi che emozionino. Ora siamo alla ricerca di investitori per questa idea.
Il processo creativo alla base di Parthenope è stato, come descritto da Francesca, una vera e propria catabasi, ovvero la discesa di un mortale nel Mondo dei Morti. È stato un viaggio mistico, in cui Fortuna ha teso la mano, proprio come fece Virgilio con Dante, portandoti a vivere a contatto con Napoli, ad assorbirne la sua essenza romantica, tragica, spirituale e carnale. Quali sono state le motivazioni che vi hanno spinto ad intraprendere questa catabasi e perché ritenete che questo approccio sia, sia stato e sarà il più appropriato per raccontare Parthenope?
(Francesca): Hai citato Dante, e mi viene in mente il primo verso del primo canto della Divina Commedia. Avevo 30 anni e non riconoscevo più la persona che vedevo nello specchio. Mi trovavo letteralmente sulla soglia di un baratro infernale. Potevo rimanere immobile su quella soglia per sempre, oppure gettarmi dentro e affrontare le ombre. Ho scelto la seconda opzione e credo di sceglierla ogni giorno. Ho accettato le mie ombre e voglio continuare a farlo.
L’unico modo per non rimanere immobili è questo: dalla staticità non nasce nulla. Napoli mi aiuta in questo. Napoli accoglie ogni parte di te, anche quella più oscura. Napoli non giudica, ma rende libera la narrazione che facciamo di noi stessi. E letteralmente, a Napoli non puoi far altro che discendere, sia in senso fisico che intrapsichico.
Credo che questo, almeno secondo la mia visione, coincida molto con la visione di Fortuna. Questo è l’unico modo per raccontare Napoli e quindi Parthenope.
La netta sensazione è che in Parthenope la città di Napoli non fungerà solo da contesto o semplice elemento di sfondo, ma sarà essa stessa protagonista della sua storia. Pertanto, la nostra domanda è: perché avete scelto proprio Napoli? Si può dire che siete state voi a scegliere Napoli o, al contrario, è stata Napoli a scegliere voi?
(Francesca): Nel mio caso, è stata Napoli a scegliere me per due volte. È stato un richiamo lungo più di dieci anni, e ho seguito quel richiamo. A un certo punto, era una conversazione che non potevo più rimandare. Mi sono resa conto, soprattutto negli ultimi anni, che questa terra è letteralmente un essere vivente che sa comunicare, che ti ascolta, ma che vuole anche essere ascoltata. Pertanto sì, sono stata irretita dalla città, non sono stata io a sceglierla.
(Fortuna): Nel mio caso, è più una questione carnale e di odio profondo. Ho vissuto più odio verso questa terra che amore. L’ho percepita come una matrigna, un sentimento materno distorto. Ho lottato contro l’idealizzazione di Napoli, contro chi ne descriveva solo le bellezze. Per un periodo, seguivo molto Saviano e attraverso lui ho voluto guardare l’abisso di questa città, in contrasto con le cartoline che la ritraevano idilliaca. Ho adottato per anni quella visione e il desiderio di scappare, comune a chi la vive intensamente, perché ti senti tradito, vivendo in un posto di una bellezza mozzafiato che, però, sembra non avere spazio per te.
Ricordo la mia irritazione quando vedevo il murales a Posillipo con scritto “Ti guardo e mi innamoro”, riferito alla città. Questo innamoramento costante lo ritenevo un privilegio di Roma. All’inizio, mi dava fastidio pensare alla bellezza sprecata di Napoli, che ti stordisce e ti addormenta. Mi chiedevo perché tutto il resto non funzionasse e sentivo che la città non aveva un posto per me.
Solo dopo ho capito di assomigliare a Napoli. Le mie abilità, il mio animo, il mio cuore sono profondamente napoletani. Amo e odio come fanno i napoletani. Ragiono fuori dagli schemi perché mi sento sempre oppressa, come i napoletani. Senza voler far del male, cerco un modo per infiltrarmi nel sistema.
Mi sono innamorata di Napoli dopo aver superato la mia crisi esistenziale con Freud’s Bones. Ora, sento il bisogno di parlare di questo legame e di come credo che ci sia un napoletano dentro tutti noi, una parte che va evocata. È questa parte napoletana che ci può aiutare ad aderire a noi stessi, ad accettare di non essere schiacciati. Napoli ti insegna a vincere, in qualche modo, a raggiungere un obiettivo, qualunque siano i mezzi. Per me, amare Napoli è ora molto più consapevole.
Una Napoli enigmatica e atemporale, dove la storia si fonde con la leggenda in un intrico di misteri da svelare. Nonostante Parthenope sia ambientato in un periodo cronologico di vostra totale inventiva, c’è un’epoca storica particolare della storia Parthenope che avete utilizzato come riferimento per il concept della lore?
(Francesca): Ce ne sono molteplici, in realtà. Napoli ha una storia e una cultura estremamente vasta e profondamente interconnessa. Senza parlare dei personaggi storici e mitologici che l’hanno abitata. Ci sono certe epoche che hanno segnato un punto di svolta, sia positivo che negativo, e di cui avvertiamo ancora gli effetti oggi.
Una di queste epoche è stata la dominazione spagnola, che si è protratta per circa 200 anni e ha mutato drasticamente la realtà napoletana in ogni suo aspetto. Tuttavia, non abbiamo dato una definizione precisa di quando si svolgerà tutta la storia ambientata dentro Parthenope. Ci saranno molti riferimenti a diverse epoche storiche, anche se non possiamo analizzarle tutte. Le più importanti e decisive le ritroveremo nel gioco.
Tra mitologia e folklore, tra leggenda e simbolismo, Napoli è una delle città italiane che maggiormente cela, dietro la sua profonda storia, un legame imprescindibile con il mito. Dalla leggenda del Munaciello alla Janara, la strega napoletana, passando per i fantasmi di Castel Sant’Elmo. Come verranno rappresentati nel gioco il folklore napoletano e la leggenda di Partenope, la Sirena fondatrice della città?
(Fortuna): Posso dire che abbiamo dedicato molto tempo a costruire un bestiario napoletano. Le figure, i miti e il folklore sono stati trattati con un approccio che evita la narrazione macchiettistica, puntando piuttosto su una dimensione carnevalesca, ma anche tragica e tragicomica.
Mi riferisco al Munaciello, alla Janara, ma anche alle ciucciuvettole, ovvero le donne gobbe che avevano un aspetto simile a gufi o civette e che si appollaiavano sui balconi per osservare le persone e farsi notare come pettegole. Abbiamo cercato di enfatizzare alcuni tratti del corpo piuttosto che creare un bestiario di mostri veri e propri.
Il nostro obiettivo non è realizzare un bestiario popolato da mostri concreti, ma far comprendere al giocatore che alcuni aspetti morfologici dei napoletani vengono estremizzati per inserirli in una particolare categoria di esseri. Quando siamo noi stessi a definirci “bestie”, va bene; se lo dicono gli altri, è un problema. Quindi, se dico che siamo delle bestie, va benissimo, perché ognuno di noi rientra in quelle categorie.
Per quanto riguarda le leggende, abbiamo selezionato con attenzione una vasta gamma di miti e storie. Questi verranno rappresentati come subquest, alcune delle quali si allontanano dalla mitologia tradizionale per avvicinarsi a miti più moderni e a una sorta di santificazione di figure contemporanee.
(Francesca): Io, in questo senso, cerco un po’ di fungere da contraltare. Tengo molto alla fedeltà storica e culturale, quindi ci rivolgiamo non solo a chi non conosce Napoli e le sue leggende, ma anche a chi è nato, cresciuto e magari vive ancora a Napoli. Tuttavia, non vogliamo che questo limiti la nostra creatività o la libertà di interpretazione.
(Fortuna): Per quanto riguarda la sirena, ad esempio, Francesca ha condotto una ricerca approfondita e ha deciso di abbandonare l’immagine tradizionale della sirena con la coda di pesce. Non utilizzeremo la sirena con la coda di pesce, ma rappresenteremo Partenope come una sirena greca, più simile a una donna-uccello o a un’arpia. Anche se l’immagine romantica che avevo in mente non era storicamente corretta, abbiamo deciso di rappresentare la verità. Partenope, nella sua forma autentica, era metà donna e metà uccello. Questa rappresentazione ha molto più senso e si sposa meglio con il concetto dell’uovo di Virgilio, il che ci aiuta anche a livello simbolico e promozionale.
Assorbire l’essenza di Napoli sarà la chiave di volta in Parthenope, lo strumento che permetterà ai giocatori di diradare i misteri che avvolgono e offuscano lo splendore della città. Ma come? Come comportarsi come un vero napoletano e, soprattutto, cosa implica questo, sia a livello narrativo che ludico? Ci saranno delle conseguenze profondamente impattanti che influenzeranno l’esperienza personale dei giocatori in base a determinate scelte?
(Fortuna): Avendo scelto di sviluppare un RPG, in Parthenope non ci saranno solo conseguenze significative, ma anche una libertà di scelta reale. Questo si traduce in percorsi narrativi e diagrammi di flusso che prenderanno una determinata strada a seconda di ciò che i giocatori sceglieranno, con interazioni che potranno essere sia molto rilevanti sia meno significative.
Personalmente, odio i videogiochi che fingono di offrire libertà di scelta, quando in realtà il giocatore ha pochissimo controllo. Quando mi sono resa conto di questo aspetto nei videogiochi, ho deciso di rompere questo tipo di struttura ingannevole anche in Freud’s Bones, nel mio piccolo, soprattutto perché viene spacciata per agency, mentre il processo decisionale è quasi totalmente assente. In Parthenope, ci siamo prefissate di evitare questo, nei limiti del possibile.
Per quanto riguarda l’assorbimento dell’essenza di Napoli e il diventare Napoletani, questo avverrà attraverso la complessa componente RPG del gioco e le build, che saranno legate alle figure dei Tre Santi Patroni (Pulcinella, Masaniello e San Gennaro). Ognuno di essi rappresenta un aspetto di Napoli: Pulcinella è la personalità più allegra ma anche malinconica, carismatica ma profondamente insofferente, capace di interagire con tutte le classi sociali e usare l’ironia come arma; Masaniello è il capo popolo, ribelle e politico, talvolta prepotente, ma capace di muovere le masse, un demagogo. Infine c’è San Gennaro, colui che fa leva sull’aspetto legato alla negromanzia, spiritualità e al grande potere analitico-terapeutico. Egli è anche il Santo degli immigrati e degli emigrati, l’unico a cui ci si può rivolgere anche dopo aver commesso dei peccati.
Per cui, a livello di design, utilizzando queste tre build, i giocatori potranno scegliere di mescolare le proprie abilità, creando una build unica con caratteristiche provenienti da tutti e tre i Santi, od optare per una build pura. La scelta sta a loro. Questo porterà a un approccio al mondo di gioco molto specifico. L’idea è di instillare nel giocatore il concetto di “Il Napoletano in te esiste”, noi ti insegniamo, ma poi sta a te impararlo. In un certo senso, è quasi un videogioco educativo, come un serious game. Nonostante sia puramente commerciale e non abbia nulla a che fare con la psicologia, vuole insegnarti che c’è sempre un modo per vincere e per autodeterminarsi nella realtà.
Ricollegandoci alla prima parte della tua risposta, in particolare alle scelte profondamente impattanti nei videogiochi e alla finta libertà di scelta spesso concessa ai giocatori, la nostra prossima domanda è: ci sarà un sistema morale in Parthenope?
(Fortuna): No, purtroppo no. Ci avevo pensato, ma poi mi sono fermata e ho ritenuto che sarebbe un controsenso. Napoli è una città amorale, per usare un termine tipico di Machiavelli; la morale non viene proprio considerata. Noi consideriamo il fare le cose con il cuore, che è più un’etica, ma non rispettiamo la regola del “si fanno così perché così si devono fare” o “avrai un premio in futuro”. Questo tipo di morale non permea la città.
(Francesca): Questo si ricollega un po’ a ciò che dicevo all’inizio dell’intervista, quando affermavo che Napoli è una città che non giudica.
(Fortuna): In compenso, c’è molta enfasi sulla reputazione. Probabilmente non sarà un effetto visibile, perché detesto statistiche e barre, e il fatto che i giocatori debbano sempre tenerle d’occhio. Tuttavia, sì, la reputazione e la vostra nomea in un determinato quartiere della città saranno aspetti cruciali in Parthenope. Come ho detto poc’anzi, sono aspetti che i giocatori dovranno imparare a curare autonomamente, intuire e percepire parlando con i vari NPC, senza alcun tipo di feedback visivo o numerico che conteggi nomea e reputazione.
Realizzare un RPG è una missione tutt’altro che semplice, specialmente considerando gli elevati standard imposti dai giochi di ruolo moderni. Tuttavia, di una cosa siamo certi: in tutte le esperienze in cui ci hai trasportato, sei sempre riuscita, per un motivo o per l’altro, a coinvolgerci e sconvolgerci, donando ad ogni tua opera un eccezionale tocco di originalità. Pertanto, ti chiediamo: come avete deciso di strutturare il vostro RPG e in che modo credete che riuscirà a distinguersi dagli altri prodotti presenti nel panorama videoludico?
(Fortuna): Nel mio caso, mi sono appoggiata a Francesca perché io non sono una designer classica, ma una vera e propria autrice di videogiochi. Quell’aspetto tecnico particolare legato al game design lo realizzo in maniera inconscia – cosa che in un RPG non era possibile per ovvie ragioni. Essendo Francesca molto esperta in questo campo, il suo approccio iper-analitico mi ha aiutato moltissimo. Lei mi ha fatto strada, permettendomi di studiare Disco Elysium e tutti gli altri classici RPG in stile Dungeons & Dragons. Tuttavia, non era questo il mio obiettivo, né il risultato che volevo raggiungere.
Ho trascorso mesi cercando di trovare un modo per ristrutturare la build principale e le sue caratteristiche, evitando qualunque riferimento ai tratti caratteristici delle build di D&D, anche perché non avrebbero alcun senso nel contesto di Parthenope. Mi sono sforzata di capire come innovare e rinnovare il sistema e sono giunta alla conclusione che l’unica soluzione era rompere la base e tenere solo gli elementi principali. Nel gioco ci saranno tre build in totale, ciascuna delle quali non seguirà il tradizionale schema delle build RPG, ma punterà a rompere completamente questo sistema con tratti distintivi unici. In questo processo, Francesca è stata indispensabile: mi ha fornito tutte le informazioni e conoscenze necessarie, che io ho provveduto ad approfondire.
Per rompere questo schema, abbiamo deciso di fare leva sul sistema GUMSHOE, una particolare scelta di design, presente ad esempio in Call of Cthulhu, che garantisce che la narrazione non si blocchi mai completamente. Come sapete, ci sono videogiochi in cui, se il giocatore compie una serie di scelte non previste dal designer, il gioco si blocca e non si sa più come procedere. Questo è quanto è successo nella mia esperienza con Disco Elysium, un videogioco che noi due adoriamo e che è stato una delle maggiori fonti d’ispirazione per Parthenope. Tuttavia, attuando delle specifiche scelte, il sistema poteva rompersi, rendendo impossibile per il giocatore proseguire. Per ovviare a questo problema, ho cercato di strutturare un RPG che sfruttasse le caratteristiche napoletane. Del resto, il mio motto è sempre stato: “Pensa che è ambientato a Napoli”. Non è un videogioco fantasy di stampo medievale con guerrieri e paladini. Tutta questa iconografia non ha nulla a che fare con Parthenope. Procedendo in questo modo, mi sono trovata in una sorta di buco nero, senza alcuna base, riferimenti o punti di partenza, e quindi ho dovuto inventare tutto da zero.
Francesca, tuttavia, mi ha fatto notare e ha riconosciuto che, in realtà, già in Freud’s Bones c’era un accenno di RPG. Io non ne ero consapevole, ma nella parte dell’Eckman Café, dove dialoghi con i mecenati, c’è un’idea di gioco di ruolo: capire come interpretare le risposte degli altri, ottenere dei fondi, insomma, è tutto un gioco mentale. Ecco, quella specifica parte è RPG e l’ho scoperto solo tempo dopo, grazie a lei.
(Francesca): Sì, quello che ho cercato di fare è offrirle diverse prospettive su cosa significhi e implichi giocare di ruolo. Spesso, infatti, il gioco di ruolo viene interpretato come strettamente legato a meccaniche, build, statistiche o punti da spendere, aspetti che personalmente adoro: più elementi vedo sullo schermo, più mi sento coinvolta, appagata e stimolata. Sono cresciuta come giocatrice, prima con gli JRPG e successivamente in preadolescenza e adolescenza con i CRPG occidentali. L’obiettivo era semplicemente trasmetterle la mia visione del videogiocare.
Ho capito per prima che per Fortuna aderire a un classico RPG sarebbe stato limitante, quindi le ho dato totale libertà, fornendole tutti gli strumenti necessari e riponendo estrema fiducia nel suo istinto. Credo che Fortuna abbia un talento innato per il game design, quindi le ho suggerito di seguire il suo istinto, senza fare troppo affidamento su sistemi tradizionali che rischiano non solo di produrre un risultato privo di identità, ma anche fallace, soprattutto a causa degli elevatissimi standard raggiunti dagli RPG moderni.
Alla base del titolo si cela una forte componente investigativa, che permea la formula ludica. Vi andrebbe di raccontarci più nel dettaglio come intendete strutturarla? Quali saranno le diverse forme e manifestazioni dell’arte investigativa che il protagonista potrà impiegare per manipolare il mondo che lo circonda?
(Fortuna): Noi abbiamo scelto come punto di partenza il tema dell’antropologia culturale. Avremmo potuto sicuramente optare per un approccio più convenzionale, come quello criminologico, che sarebbe stato sicuramente più semplice da seguire, con un percorso decisamente lineare una volta appreso, non così complicato da riprodurre. Tuttavia, come ben sapete, le cose facili non mi piacciono. Difatti, nel caso dell’antropologia, così come come nella psicoanalisi, ho scelto deliberatamente di addentrarmi in questo immenso e intricato ginepraio, consapevole che non esiste un metodo collaudato per trattare la materia investigativa, se non attraverso la realizzazione di specifiche interviste.
L’antropologo culturale di solito si reca in un determinato luogo per condurre una serie di interviste, con l’obiettivo non solo di raccogliere informazioni, ma anche di integrarsi nella comunità locale, diventandone parte integrante. Un esempio emblematico è rappresentato da Bronisław Kasper Malinowski, il quale si recò nelle Isole Trobriand con l’obiettivo di potersi integrare in parte delle loro micro culture indigene. Una volta familiarizzato con le usanze locali ed essere stato accettato nella comunità, cominciava a comprendere le dinamiche culturali, economiche e familiari, e da lì traeva le proprie conclusioni.
Ecco, io intendo fare la stessa identica cosa con la città di Napoli. In Parthenope, l’antropologa culturale giunge in città con l’obiettivo investigativo di comprendere la complessa struttura semi-piramidale dell’indagine. Qui si incontrano i Patroni, le figure centrali dei quartieri, e si affronta una sorta di sindrome psichiatrica che permea ogni angolo della città, un nucleo che abbraccia l’intera Napoli e che ho scelto di concentrare in questi tre quartieri. L’obiettivo è ricostruire le genealogie familiari e le dinamiche disfunzionali delle famiglie, immergendosi nelle loro strutture per svelare la storia nascosta dietro le relazioni tra i personaggi di ogni quartiere e raggiungere infine il Patrono, il “boss” finale del quartiere.
I giocatori potranno accedervi solo soddisfacendo precisi prerequisiti e rispettando regole, integrandosi pienamente nel contesto in cui si trovano. È qui che entra in gioco l’osservazione partecipante di Malinowski: osservare ma essere allo stesso tempo coinvolto nella vita sociale, stabilire contatti con le piccole comunità familiari, creare relazioni e approfondirle. Questa è la base da cui inizieremo a sviluppare il tema dell’antropologia culturale in Parthenope, un concetto complesso che intendiamo rendere meno teorico e testuale, e più coinvolgente possibile per i giocatori, al fine di garantire un’esperienza finale dinamica e appassionante, e di allontanarci dall’idea di aderire a una formula statica del tipo: “leggere, cliccare e scegliere”.
Da un punto di vista prospettico e visivo, avete già concepito e immaginato le caratteristiche e le dimensioni dello spazio in cui si muoverà la protagonista? L’opera manterrà uno stile prospettico simile a quello delle precedenti produzioni di Fortuna, oppure avete in mente qualcosa di completamente diverso e distintivo?
(Francesca): Certamente. Il gioco sarà in 3D. Stiamo affrontando un lavoro considerevole non solo in termini di level design, ma anche nella gestione della telecamera, soprattutto considerando la complessa struttura della città di Napoli. Non intendiamo riprodurre fedelmente i vari quartieri in scala 1:1; tuttavia, vogliamo che la versione di Napoli presente in Parthenope sia riconoscibile e identitaria per i giocatori, non solo nell’atmosfera, ma anche nella sua composizione.
Non possiamo uscire di molto fuori dagli schemi; stiamo piuttosto cercando di individuare la soluzione migliore. Paradossalmente, quando si ha una base, uno specifico punto di riferimento, si tende a pensare che il processo creativo sia più agevole, ma in realtà è esattamente il contrario. Riflettiamoci: a differenza della regia di un film o di una riproduzione artistico-pittorica, il videogioco ha esigenze specifiche che devono essere soddisfatte per garantire un’esperienza appagante e coinvolgente per l’utente.
Stiamo conducendo diversi esperimenti con la telecamera; personalmente, sto spingendo per una visuale dall’alto, isometrica. Ritengo che l’esplorazione sia un aspetto cruciale nei giochi di ruolo e che contribuisca all’esperienza di gioco complessiva. Una visuale più ampia della scena, almeno per me, suscita una maggiore curiosità ed entusiasmo nell’esplorare, a differenza di una prospettiva in terza persona. Questo aspetto è particolarmente importante se si considera la complessa struttura labirintica di Napoli che, sebbene in modo limitato, potrebbe rendere l’esperienza estremamente suggestiva, ma anche potenzialmente claustrofobica.
La presenza dei tre Santi Patroni come antagonisti e del bestiario carnevalesco che popola la città lanciano un importante indizio, che ha permesso alla nostra mente di fantasticare e formulare alcune teorie ad essi correlati. In Parthenope, ci sarà anche un sistema di combattimento che ci permetterà di confrontarci e respingere la minaccia, o l’unica arma a nostra disposizione sarà sempre e solo l’arte investigativa?
(Fortuna): A livello del combat system, non ci sono veri e propri scontri bellici in Parthenope, nessun nemico da ferire o uccidere; tutto si svolge su un piano intrapsicologico e investigativo. Tuttavia, poiché l’idea fondamentale nel design è quella di garantire ai giocatori un’elevata dinamicità, è previsto un sistema simile. Vorrei creare una sorta di “pausa caffè”, ma non una pausa rilassante, bensì un’esperienza che dà una vigorosa botta di energia, come quando si sorseggia un espresso.
Ritengo che questo risultato possa essere ottenuto solo tramite il combat system, che sarà presente ma sarà limitato a una parte specifica di ogni quartiere e avrà un approccio e un carattere rigorosamente non violento. Si tratta di un concetto molto complesso: non si useranno armi né incantesimi, ma si giocherà con meccaniche più simili a giochi che si sono discostati dall’uso delle armi. È un vero e proprio ribaltamento.
Tuttavia, l’idea di affrontare una sfida e provare la sensazione di riuscire a superarla sarà un aspetto certamente presente. Desidero che i giocatori, dopo aver superato una serie di indagini approfondite, provino la soddisfazione di confrontarsi con un Patrono e riuscire a comprendere quale sia la chiave per superare quel quartiere.
Pertanto, è essenziale che la gratificazione per il lavoro svolto sia presente; sto lavorando per strutturare il sistema in modo che non risulti eccessivamente invadente nell’esperienza complessiva, ma che sia comunque tangibile.
A curare uno degli aspetti principali dell’opera sarà Umberto Boldarin, giovane sound e video designer classe ‘97, che sarà responsabile del sound design e delle composizioni della colonna sonora. Qual è il risultato che mirate a raggiungere? Un accompagnamento musicale in linea con la tradizione, con la musica popolare napoletana, oppure qualcosa di completamente differente?
(Francesca): Prendo come spunto il teaser, considerando che Umberto è già al lavoro sul sound design. Nel teaser, si è occupato sia della composizione musicale che del sound design. Porto questo esempio perché è stata per lui un’esperienza decisamente impegnativa in cui lo abbiamo messo a dura prova. Dovete sapere che, nonostante io e Fortuna abbiamo due visioni sinergiche, abbiamo anche due anime abbastanza dissimili e due visioni spesso contrastanti. Anche sul fronte musicale, Fortuna voleva conferire all’opera un sound tribale, in linea con la tradizione napoletana, mentre io ho fornito a Umberto molti riferimenti più classici, tipici di una musica classica dalle tonalità più tragiche ed epiche. Perciò, il primo passo è stato capire come amalgamare entrambe le visioni e trovare un equilibrio.
Umberto possiede una profonda conoscenza musicale e una spiccata sensibilità artistica. Mentre lavoravamo al montaggio del teaser, ci ha illustrato come, dal punto di vista musicale, due generi apparentemente inconciliabili come quelli da noi scelti possano essere difficili da unire: la musica tribale, istintiva e visceralmente coinvolgente, e la musica classica, rigorosamente tecnica. Questa dicotomia rispecchia anche le differenze tra me e Fortuna: mentre Fortuna predilige l’istinto, io sono più incline all’armonia.
Nel gioco, ci poniamo l’obiettivo di conservare questa fusione, anche se personalmente sarei particolarmente interessata a sperimentare ulteriormente e ad aggiungere contaminazioni di musica elettronica, cosa che sono sicura, renderebbe felice anche Umberto, data la sua passione per la musica elettronica. Inoltre, di recente ha pubblicato il suo nuovo album di musica elettronica, un progetto personale di alta qualità. Sono certa che sarebbe entusiasta di apportare il suo contributo al progetto con alcune produzioni di musica elettronica.
(Fortuna): Concordo! Nonostante a livello prettamente estetico e artistico non si farà alcun riferimento alla contemporaneità, mi affascina enormemente l’idea di mescolare generi diversi. Già nel teaser, avevamo pensato di sperimentare e dare vita a questa fusione. Tuttavia, in seguito, abbiamo scelto di focalizzarci su una musica tribale, aulica e intensa, soprattutto perché, essendo un teaser, dovevamo condensare l’esperienza in poco più di un minuto.
Siamo liete che il risultato finale sia stato apprezzato. Nonostante non possiamo ancora svelare nulla, il canto della Sirena in sottofondo e molti dei simboli presenti nel teaser rappresentano una serie di easter egg. Una volta che il gioco sarà disponibile, avrete modo di cogliere e comprendere i potenti richiami legati tra di essi e la lore.
Dal punto di vista musicale, stiamo attingendo a diverse fonti, da Enzo Avitabile alla musica dei Bottari, sempre con l’obiettivo di esplorare e valorizzare ogni sfumatura della musica napoletana, evitando gli stereotipi più diffusi ad essa associati.
In confronto alle tue precedenti opere come Freud’s Bones e Bluethroot, si nota un interessante cambiamento stilistico e tematico, passando da una prospettiva prevalentemente socio-psicologica a un progetto con una forte dimensione artistica e culturale. Tuttavia, la domanda che vorremmo rivolgerti è: in Parthenope, rivedremo il marchio di fabbrica che ti ha contraddistinto nei tuoi precedenti titoli?
(Fortuna): Io ho sempre cercato da autrice indipendente di crearmela, all’inizio almeno, un marchio di fabbrica. Successivamente, ho realizzato che nelle opere che ho pubblicato è emerso un forte focus sull’interiorità e sulla profondità dei temi umani, legati non solo alla psicologia ma all’essenza stessa dell’umano. Perciò anche in Parthenope, da un punto di vista narrativo e stilistico, nonostante questa volta non lavorerò da sola ma insieme a Francesca, sarà presente una scrittura rigorosamente senza filtri, priva di qualunque tipo di sovrastruttura rigida, molto diretta e anche molto perturbante.
Come sapete, nelle mie opere cerco sempre di provocare e, anche in Parthenope, continuerò su questa strada di profonda provocazione, che credo raggiungerà un picco che fino ad ora non sono riuscita ancora a raggiungere, neanche con Freud’s Bones. Nonostante si trattasse di un’opera libera, dove avevo pieno controllo della libertà creativa e autoriale del progetto, non sono riuscita a esprimere appieno per limiti tecnici, di tempo, di ingenuità e anche di timore, per certi versi
In Freud’s Bones, c’erano elementi di nudità e riferimenti sessuali, tuttavia la sezione era ridotta, e questo non ha suscitato particolare scalpore o l’effetto finale che desideravo. In Parthenope, invece, mi sentirò ancora più libera, specialmente perché Napoli offre un terreno fertile per questo tipo di approccio. Pertanto, ho assolutamente intenzione di proseguire su questa strada, ma compiendo al contempo un importante passo in avanti.
Quali sono i piani futuri per Parthenope? Come procede lo sviluppo e quali sono i prossimi step per quest’anno? Avete già un’idea su una possibile finestra di rilascio e sulle piattaforme su cui vorreste rendere il gioco disponibile?
(Fortuna): Abbiamo pianificato un processo di sviluppo della durata di tre anni, con un’ipotetica finestra d’uscita ipotetica fissata per il 2027. L’anno scorso, abbiamo avuto un incontro molto produttivo a Firenze con i produttori di Devolver Digital e altri editori, che ha suscitato un notevole interesse da parte di Devolver. In quell’occasione, abbiamo presentato un pitch preliminare del progetto e, per approfondire come intendiamo realizzarlo, ci è stato richiesto di fornire del materiale dimostrativo. Mi sono dunque dedicata alla redazione di un business plan dettagliato, delineando le tempistiche e gli aspetti principali del processo di sviluppo. Il riscontro da parte dei producer è stato positivo, che hanno trovato la proposta estremamente valida e allettante.
Il prossimo passo consiste nel trovare investitori che sposino l’idea del progetto, non necessariamente provenienti dall’industria videoludica. Personalmente, preferirei coinvolgere investitori, poiché desidero mantenere la massima libertà creativa e autoriale possibile. Inoltre, i publisher spesso tendono a influenzare il gioco secondo i loro criteri e filtri, cosa che non mi entusiasma particolarmente.
Nonostante siamo ancora in una fase iniziale di ricerca, abbiamo finora ricevuto feedback più che positivi. Ora non ci resta che valutare come affrontare gli aspetti economici legati al progetto.
Conclusioni
Siamo giunti alla fine di questa interessante e ricca intervista che Fortuna e Francesca ci hanno gentilmente concesso. Siamo molto grati a entrambe per aver condiviso con noi preziosi dettagli e aneddoti delle loro esperienze relative al meraviglioso mondo dei videogiochi, e al loro nuovo progetto Parthenope, che non vediamo l’ora di poter provare.
Per scoprire ulteriori dettagli su Parthenope, vi invitiamo a visitare il sito ufficiale di Katabasi Studio e i profili LinkedIn di Fortuna Imperatore e Francesca Balestri, dove potrete approfondire la loro storia, il percorso artistico e ricevere tutti gli aggiornamenti sui loro progetti futuri.
Grazie per averci seguito anche oggi. Alla prossima!