Un soulslike made in Brasile dalle tinte decise e innovative.

Dolmen arriva presentandosi come un action-RPG con marcati richiami al filone “soulslike”, in una salsa di fantascienza cosmica e horror. L’ambientazione è aliena, il tono è spesso cupo e minaccioso, e l’obiettivo dichiarato è offrire un’esperienza di combattimento punitiva e ritmica, dove studio del pattern nemico, timing e scelta dell’equipaggiamento fanno la differenza, il tutto declinato attraverso armi tecnologiche, abilità energetiche e creature lovecraftiane piuttosto che spade e draghi.
Al livello narrativo la premessa è lineare ma efficace: il giocatore viene catapultato sul pianeta ostile Revion Prime per recuperare i cristalli noti come “Dolmen”, risorse che permettono interazioni tra realtà e che sono al centro di misteriosi fenomeni. Mentre si avanza tra basi abbandonate, tunnel alieni e campi contaminati, ciò che sembra un’operazione scientifica di routine si rivela ben presto legata a forze che eccedono la comprensione umana: entità che corrompono la materia, mostri che sembrano nati da incubi interdimensionali e segni di una presenza che sfiora il metafisico.
Dal punto di vista ludico invece, la meccanica centrale è la gestione della morte e della resurrezione, la costruzione di build basate su equipaggiamento e skill, e il bilanciamento tra attacco aggressivo e difesa tattica. Le scelte di equipaggiamento e abilità aprono percorsi diversi di approccio, aumentando la rigiocabilità per chi ama sperimentare combinazioni di build.


Massive e Prime
Per comprendere davvero cosa rappresenti Dolmen, è fondamentale soffermarsi sul percorso del suo team di sviluppo e sul ruolo che l’editore ha avuto nel portare il progetto al pubblico. Spesso, infatti, un gioco non è soltanto il frutto delle idee creative che lo animano, ma anche delle condizioni produttive, delle risorse economiche e delle strategie di pubblicazione che ne hanno accompagnato la nascita.
Il titolo è stato sviluppato da Massive Work Studio, una realtà brasiliana con sede a Natal, fondata nel 2016 da un gruppo di veterani dell’industria con esperienza in progetti tripla A, tra cui serie come Injustice 2, Gears of War e Diablo. Questa combinazione di background ha definito da subito l’identità dello studio: unire l’ambizione internazionale e la cura tecnica tipica delle produzioni di alto livello con la passione e la flessibilità che caratterizzano le piccole realtà indipendenti. Dolmen è il primo grande progetto originale dello studio e, in quanto tale, ha rappresentato una sfida enorme in termini di ambizione, portata e visibilità.
Il team si è distinto anche per il contesto geografico e culturale. Il Brasile non è tra i centri più conosciuti per lo sviluppo videoludico globale, ma realtà come Massive Work Studio hanno contribuito a rendere il paese più rilevante sulla scena internazionale. Portare avanti un progetto come Dolmen, concepito per piattaforme multiple e con un posizionamento competitivo nel genere soulslike, ha significato per il team emergere da un panorama locale e confrontarsi con il pubblico mondiale. Questo aspetto aggiunge un valore particolare: Dolmen non è soltanto un gioco, ma anche un simbolo delle possibilità di crescita e affermazione di studi emergenti provenienti da mercati meno tradizionali.
Sul piano editoriale, il progetto è stato sostenuto e pubblicato da Prime Matter, un’etichetta relativamente recente del gruppo Koch Media, nata proprio con l’obiettivo di valorizzare produzioni di fascia intermedia caratterizzati però da idee originali, budget medio e possibilità di raggiungere un pubblico globale. L’intervento di Prime Matter è stato decisivo non solo per la distribuzione internazionale, ma anche per garantire un supporto nella fase finale dello sviluppo, nella promozione e nel lancio del titolo su più piattaforme contemporaneamente: PC, PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox One e Xbox Series X|S.
Questa collaborazione è un esempio concreto di come l’ecosistema videoludico moderno consenta a studi indipendenti di realizzare opere ambiziose grazie a editori che scommettono su concept originali. Prime Matter, nel posizionare Dolmen sul mercato, lo ha presentato come un soulslike fantascientifico in grado di distinguersi dalla massa grazie a un mix particolare di orrore cosmico e meccaniche classiche del genere. La campagna di marketing ha puntato a far leva sull’identità unica del titolo: un’ambientazione oscura, aliena, che mescola suggestioni lovecraftiane con scenari tecnologici e futuristici.
Il binomio Massive Work Studio-Prime Matter definisce chiaramente la natura di Dolmen: un gioco nato dalla passione e dall’ambizione di un team giovane e creativo, ma reso possibile nella sua portata e distribuzione da un editore deciso a valorizzare produzioni alternative. Questo contesto produttivo spiega sia i punti di forza (originalità artistica, identità forte, approccio “di nicchia” ma consapevole) sia alcuni limiti che emergeranno più avanti (restrizioni tecniche, rifinitura non sempre all’altezza dei grandi budget).


Un’oscurità fantasy
La trama di Dolmen si sviluppa all’interno di una cornice narrativa che fonde elementi di fantascienza spaziale e horror cosmico, creando un’atmosfera sospesa tra la razionalità tecnologica e l’ignoto perturbante. Il giocatore veste i panni di un esploratore concepito come una sorta di avatar del giocatore stesso, inviato su Revion Prime, un pianeta lontano e ostile, per indagare e recuperare i misteriosi cristalli noti come Dolmen. Questi cristalli non sono semplici risorse: racchiudono il potere di interagire con realtà differenti, di manipolare dimensioni parallele e, in ultima analisi, di riscrivere le leggi stesse dell’universo.
La missione, che inizialmente appare come un’operazione scientifica e di recupero tecnologico, si rivela molto più complessa e pericolosa. Revion Prime non è un luogo morto o abbandonato, ma un terreno infestato da forme di vita mutate, predatori alieni e creature che incarnano l’essenza stessa dell’orrore lovecraftiano: corpi innaturali, tentacolari, che sfidano le leggi della biologia e sembrano portatori di una corruzione interdimensionale. Mentre si avanza, si comprende che i Dolmen non sono soltanto oggetti di valore scientifico o militare, ma catalizzatori di un potere che attrae forze superiori, entità cosmiche che si insinuano nella realtà del pianeta e la deformano.
La progressione narrativa avviene in gran parte attraverso l’esplorazione ambientale e il combattimento. Non ci sono lunghe cutscene o dialoghi articolati, come avviene in molte produzioni più narrative, ma piuttosto un mosaico di indizi, log audio, terminali e dettagli visivi che, messi insieme, delineano il quadro della vicenda. Il giocatore è lasciato libero di interpretare gli eventi e di collegare i tasselli, secondo un approccio tipico del genere soulslike. Questa scelta aumenta il senso di mistero e contribuisce a rafforzare l’atmosfera di spaesamento: come protagonista, non sei mai pienamente certo di quello che stai affrontando, e la verità completa resta sempre sfuggente.
Uno degli aspetti centrali della trama è il legame tra il protagonista e le dimensioni alternative che i cristalli Dolmen possono aprire. Durante l’avventura, infatti, ci si trova spesso a combattere nemici che sembrano provenire da altre realtà, materializzatisi su Revion Prime attraverso fratture dimensionali. Questo filo conduttore non solo giustifica la varietà e la natura disturbante delle creature affrontate, ma introduce anche riflessioni più ampie sul rapporto tra scienza, conoscenza e limiti della comprensione umana.
Un altro elemento narrativo importante riguarda la corporazione scientifica che ha mandato il protagonista sul pianeta. Sebbene i dettagli restino parziali, emerge chiaramente che dietro la missione non ci sia soltanto la curiosità scientifica, ma anche interessi militari e industriali. I cristalli Dolmen rappresentano una fonte di potere potenzialmente illimitato, e la loro acquisizione può determinare il controllo di intere civiltà. Questo aspetto aggiunge una dimensione etica alla storia: ciò che per il protagonista è sopravvivenza, per chi ha orchestrato la spedizione diventa dominio, controllo e sfruttamento.
Il ritmo della trama è scandito da momenti chiave: i combattimenti con i boss, che incarnano le manifestazioni più potenti e corrotte del pianeta, e che fungono da barriere narrative oltre che ludiche. Ogni boss sconfitto permette di accedere a nuove aree e, contemporaneamente, di scoprire ulteriori frammenti della storia. L’evoluzione della trama si basa su una rivelazione progressiva dell’orrore e sulla consapevolezza crescente del giocatore di essere parte di una vicenda molto più grande di quanto immaginasse.
La trama di Dolmen quindi non punta a costruire una storia lineare e cinematografica, ma a evocare una mitologia di terrore e mistero in un contesto sci-fi. È una narrativa che privilegia l’atmosfera e il senso di alienazione piuttosto che lo sviluppo di personaggi o relazioni, e che trova nella frammentarietà e nell’interpretazione personale del giocatore il proprio punto di forza.


Temi attuali e di profonda riflessione
Uno degli aspetti più peculiari di Dolmen è la sua capacità di intrecciare la rigidità della fantascienza tecnologica con la dimensione perturbante e irrazionale tipica dell’horror cosmico. La narrativa si manifesta come un tessuto di suggestioni, atmosfere e frammenti informativi che il giocatore deve interpretare.
Questo approccio, volutamente minimale e criptico, si inserisce nel solco dei soulslike, ma assume qui una connotazione particolare: il senso di alienazione non deriva soltanto dalla difficoltà del gameplay, ma dalla sensazione di trovarsi di fronte a un cosmo che non ha intenzione di spiegarsi, e che resiste alla comprensione umana.
Al centro della narrazione si collocano i cristalli Dolmen, vere e proprie chiavi interdimensionali, simboli del rapporto ambiguo tra scienza e potere. Da un lato, incarnano la curiosità dell’uomo di spingersi oltre i confini della conoscenza; dall’altro, mostrano come ogni passo verso l’ignoto possa scatenare conseguenze incontrollabili. In questo senso, il gioco propone una riflessione su un tema, se si vuole, attuale: fino a che punto l’umanità può manipolare forze che non comprende senza esserne sopraffatta?
Altro tema chiave è quello della corruzione e mutazione. Revion Prime non è un pianeta statico: è un ambiente vivo, contaminato da entità provenienti da altre dimensioni. Le creature che lo abitano sono ibride, mostruose, la cui stessa esistenza sembra negare le leggi della biologia. Attraverso questi mostri, il gioco comunica l’idea che il confine tra naturale e innaturale sia ormai dissolto. Questo leitmotiv della mutazione diventa metafora dell’instabilità ontologica: nulla è come appare, e ogni forma di vita rischia di essere riscritta dalla corruzione che i cristalli Dolmen portano con sé.
Un ulteriore livello tematico riguarda il rapporto tra corporazioni e sfruttamento delle risorse. La missione del protagonista non nasce da un ideale puro di ricerca, ma da interessi economici e militari. Le aziende che inviano esploratori su Revion Prime non cercano solo di svelarne i segreti, ma di impossessarsi del potere che i cristalli racchiudono. In questo senso, Dolmen si inserisce in una tradizione narrativa che riflette su come la logica del profitto possa spingere l’uomo a colonizzare, depredare e corrompere anche ciò che non comprende. È un richiamo diretto a paure molto attuali: il rischio che la scienza, piegata a interessi economici, diventi strumento di autodistruzione.
Il gioco tocca anche la dimensione dell’insignificanza cosmica, un tema caro all’orrore lovecraftiano. Gli scontri con i boss e l’inesplicabilità delle creature aliene rafforzano il senso che l’essere umano, per quanto armato e tecnologicamente avanzato, resti una pedina fragile in un universo indifferente e ostile. L’eroismo del protagonista non è mai celebrato come gloria, ma come sopravvivenza precaria in un contesto che lo supera in scala e potenza.
Un ultimo tema, meno evidente ma presente, è quello della solitudine. L’assenza di veri compagni di viaggio, la scarsità di contatti umani e l’onnipresenza di ambienti ostili creano un’esperienza narrativa intima: il giocatore è costretto a confrontarsi con i propri limiti, senza reti di sicurezza. Questa solitudine, più che la paura immediata dei mostri, diventa la cifra emotiva dominante, amplificando il senso di alienazione e disperazione che permea il gioco.
Dolmen fa emergere temi profondi e quanto mai attuali: la fragilità dell’uomo di fronte al cosmo, il rischio dell’arroganza tecnologica, la corruzione come forza inevitabile, e l’indifferenza di un universo che sfugge a ogni spiegazione.


Art direction ispirata e di belle intuizioni
Il comparto tecnico e l’art design di Dolmen meritano un’analisi dettagliata perché costituiscono il nucleo dell’esperienza. Il titolo è stato sviluppato utilizzando l’Unreal Engine, scelta ormai diffusa soprattutto tra studi indipendenti o di medie dimensioni, che garantisce una base solida per quanto riguarda la gestione delle luci, degli effetti particellari e delle superfici. Proprio questi elementi diventano strumenti chiave nell’estetica del gioco: le illuminazioni contrastate, le foschie volumetriche e i bagliori alieni definiscono gran parte dell’atmosfera visiva di Revion Prime. Nonostante i limiti di budget, la scelta di sfruttare al massimo le capacità dell’engine ha permesso di mascherare alcune carenze tecniche attraverso una direzione artistica precisa.
L’art design è, senza dubbio, uno degli elementi più caratterizzanti di Dolmen. Gli ambienti sono progettati per trasmettere un senso costante di ostilità e inquietudine: corridoi angusti, caverne irregolari, strutture industriali decadenti e spazi aperti contaminati, che si alternano, creando varietà visiva pur con asset talvolta riutilizzati. L’uso dei colori gioca un ruolo fondamentale: tonalità fredde, verdi acidi e rossi innaturali contribuiscono a evocare un mondo alieno e tossico, distante da qualsiasi familiarità terrestre. Questa scelta cromatica rafforza l’idea di trovarsi di fronte a un pianeta corrotto da forze interdimensionali.
Le creature nemiche rappresentano il punto più distintivo del design. La loro estetica è volutamente disturbante: corpi tentacolari, deformazioni biologiche e caratteristiche ibride che mescolano organico e tecnologico. Ogni mostro sembra il prodotto di un incubo cosmico, e la loro varietà, sebbene non vastissima, è sufficiente a mantenere alta la tensione. I boss sono concepiti come veri e propri eventi visivi: colossi che dominano la scena con design inquietanti, combinazioni di forme mostruose e animazioni minacciose. Anche qui, le scelte stilistiche riescono a compensare i limiti tecnici, rendendo memorabili gli scontri principali.
Un altro elemento rilevante è il design del protagonista e dell’equipaggiamento. Le armature e le armi sono realizzate con un’estetica che richiama l’ingegneria futuristica, ma sempre con un tocco alieno che le rende coerenti con l’ambientazione. La possibilità di craftare e potenziare equipaggiamento aggiunge varietà visiva, permettendo al giocatore di modellare il proprio avatar in modi che riflettono le scelte fatte durante il gameplay.
Sul piano tecnico, tuttavia, emergono anche i limiti di produzione. Le texture non sempre risultano definite, alcune animazioni appaiono legnose e certi ambienti possono sembrare ripetitivi. In particolare, il level design soffre talvolta di una certa linearità che, pur garantendo chiarezza nel percorso, riduce l’impatto della scoperta e l’impressione di trovarsi in un ecosistema vasto. Inoltre, sono stati segnalati occasionali cali di frame rate e bug minori che, sebbene non compromettano in modo drastico l’esperienza, ricordano costantemente al giocatore che si tratta di un titolo sviluppato con risorse limitate.
Nonostante questi difetti, l’identità visiva di Dolmen resta forte e riconoscibile: la coerenza estetica, l’uso sapiente di luci e colori, e il design disturbante delle creature contribuiscono a creare un mondo che lascia un’impressione duratura. Non si tratta di realismo spinto, ma di evocazione: l’obiettivo non è mostrare un pianeta credibile dal punto di vista scientifico, ma uno spazio che trasmetta alienazione, ostilità e corruzione cosmica. Da questo punto di vista, l’art design centra perfettamente l’intento.
Quindi, si può concludere che il comparto tecnico e artistico di Dolmen bilancia con intelligenza i limiti strutturali e la creatività estetica. Non raggiunge i livelli spettacolari dei grandi titoli, ma compensa con una direzione stilistica coraggiosa che rende Revion Prime un luogo memorabile, alieno e inquietante, perfettamente in linea con i temi narrativi del gioco.


Ottimo comparto sonoro
Se nel comparto grafico Dolmen riesce a distinguersi soprattutto grazie alla sua direzione artistica, nel sound design il gioco trova un’arma altrettanto potente per costruire l’atmosfera disturbante e ansiogena che caratterizza l’intera esperienza. La componente sonora, infatti, non si limita a fare da cornice all’azione, ma diventa parte integrante del world building e della percezione che il giocatore ha di Revion Prime.
La colonna sonora si muove su registri essenziali, con brani mai troppo invadenti o melodici. Non è una musica pensata per essere ricordata come tema portante, quanto piuttosto una serie di tappeti sonori che alternano suoni elettronici, percussioni minacciose e frequenze basse che fanno vibrare l’ambiente. Questa scelta contribuisce a creare un clima di costante tensione, come se un pericolo fosse sempre in agguato, anche nei momenti di apparente calma. I picchi musicali coincidono spesso con l’arrivo di boss o sezioni particolarmente difficili, aumentando la sensazione di oppressione e rendendo ogni scontro una sorta di evento drammatico. Il vero punto di forza è però l’uso degli effetti sonori ambientali, che rendono Revion Prime un mondo vivo, e il giocatore lo percepisce grazie ai suoni che lo circondano: il rumore delle rocce che si sgretolano, i sibili provenienti dalle profondità, il fruscio inquietante di presenze invisibili.
Ogni passo, ogni risonanza metallica, ogni eco di creatura lontana contribuisce a rafforzare l’idea che il pianeta sia infestato da forze ostili. Questi dettagli, spesso sottili, spingono il giocatore a esplorare con prudenza, perché il suono diventa un indizio fondamentale per prevedere cosa lo attende dietro l’angolo. Importante è altresì il sound design dei nemici. Ogni creatura ha una propria firma sonora: versi gutturali, sibili acuti, grida disumane. Questo non solo aumenta l’impatto orrorifico, ma fornisce anche informazioni pratiche al giocatore, che può imparare a riconoscere i nemici dall’audio prima ancora di vederli. Nel caso dei boss, le tracce sonore diventano ancora più caratterizzanti: ruggiti e suoni distorti accompagnano le loro animazioni, sottolineando la loro natura aliena e sovrumana.
Il doppiaggio è presente, seppur in forma limitata, ed è funzionale piuttosto che spettacolare. I pochi personaggi con cui il giocatore interagisce non offrono interpretazioni memorabili, ma riescono a trasmettere il tono distaccato e pragmatico che caratterizza l’universo narrativo del gioco. Il vero peso della componente audio, dunque, ricade sulle atmosfere e non sulla recitazione.
Dal punto di vista tecnico, il mixaggio audio è ben calibrato: gli effetti ambientali non vengono mai soffocati dalla colonna sonora, e i suoni delle armi risultano incisivi, restituendo un feedback soddisfacente al giocatore. La gestione dello spazio sonoro è accurata: con un buon sistema audio o con le cuffie, si percepisce chiaramente la direzione da cui provengono i rumori, dettaglio che arricchisce l’esperienza e aumenta il senso di immersione.
Non mancano però alcune criticità. In certe sezioni si avverte una ripetitività degli effetti sonori, con alcuni loop che finiscono per risultare prevedibili. Inoltre, la colonna sonora, pur efficace sul piano atmosferico, manca di brani realmente distintivi che possano essere ricordati fuori dal gioco: la sua funzione è di supporto, ma non riesce a lasciare un’impronta duratura. Nel complesso, però, il sound design di Dolmen svolge un ruolo cruciale nella costruzione della sua identità. È grazie al comparto sonoro che l’alienazione di Revion Prime prende forma, che il senso di pericolo si fa tangibile, e che il giocatore vive un’esperienza immersiva. Pur con i limiti di produzione, questa dimensione audio si rivela uno degli aspetti più riusciti del gioco, capace di sopperire a certe mancanze visive e di amplificare le emozioni in ogni fase dell’avventura.


World building integrato al gameplay
Il cuore pulsante di Dolmen si trova nell’intreccio tra world building e gameplay, due elementi che, lavorando in sinergia, definiscono non solo il senso dell’avventura, ma anche la percezione che il giocatore sviluppa nei confronti di Revion Prime e delle sue insidie.
Revion Prime non è un semplice scenario, ma un luogo che si racconta attraverso dettagli visivi e ambientali. Ogni area del pianeta riflette la contaminazione dei cristalli Dolmen, che hanno distorto la natura fino a renderla irriconoscibile. Rocce innaturalmente luminose, vegetazione mutata, architetture industriali decadenti e caverne che sembrano pulsare di vita aliena concorrono a creare un’ambientazione ostile e opprimente.
Il world building si fonda sul contrasto tra l’elemento umano e tecnologico, rappresentato da strutture industriali e impianti scientifici, e l’elemento alieno e organico, che domina e corrompe. Un contrasto, questo, che diventa specchio della narrativa: l’uomo tenta di colonizzare, ma la natura aliena reagisce, deformando tutto. L’assenza di figure amichevoli e la scarsità di contatti umani rafforzano la sensazione di solitudine e di isolamento, trasformando Revion Prime in un personaggio a sé stante, più che in un semplice sfondo. Il gioco non spiega mai fino in fondo i segreti del pianeta, ma lascia che sia il giocatore a cogliere indizi sparsi nei log, nei frammenti della lore e nelle stesse architetture. Questo approccio, volutamente frammentato, incentiva l’interpretazione personale e richiama l’idea che la conoscenza, in un universo così indifferente e caotico, non possa mai essere totale.
Il gameplay di Dolmen abbraccia la struttura tipica dei soulslike, ma la arricchisce con alcune caratteristiche distintive. La progressione è scandita da combattimenti impegnativi, raccolta di risorse e gestione oculata delle proprie abilità. La meccanica più originale risiede nell’uso dei cristalli Dolmen, che permettono di manipolare l’energia e di sfruttare attacchi elementali. Il giocatore può adattare il proprio stile, scegliendo se prediligere armi da mischia o da distanza, se investire in potenziamenti fisici o energetici.


Il sistema di combattimento è dinamico e richiede precisione: schivate, parate e tempismo diventano fondamentali per la sopravvivenza. Le armi da fuoco, diversamente da altri titoli dello stesso genere, assumono un ruolo centrale: non sono solo strumenti secondari, ma parte integrante del set di abilità. Questo spinge a un approccio ibrido, in cui il giocatore deve bilanciare l’aggressività della mischia con la prudenza del fuoco a distanza. Il crafting riveste allora un ruolo essenziale. Sconfiggendo i nemici, si ottengono risorse utili a costruire e migliorare equipaggiamenti. Le armi e le armature non sono soltanto strumenti funzionali, ma espressione della corruzione di Revion Prime: il loro design, a metà tra il tecnologico e il biologico, riflette la contaminazione del pianeta. La possibilità di personalizzare il proprio arsenale aggiunge profondità e incentiva la sperimentazione.
Un altro aspetto rilevante riguarda la gestione delle risorse energetiche. Oltre alla salute e alla stamina, il giocatore deve monitorare l’energia necessaria per utilizzare le armi a distanza o attivare abilità speciali. Questa meccanica introduce un ulteriore livello strategico: non basta attaccare e difendersi, occorre anche saper amministrare con intelligenza le proprie scorte per non trovarsi impreparati nei momenti cruciali.
Il level design, sebbene tenda talvolta a essere lineare, è costruito con la logica del rischio e della ricompensa: corridoi stretti che mettono in trappola, aree più ampie che nascondono nemici letali, scorciatoie da sbloccare per facilitare i tentativi successivi. Ogni progresso è guadagnato con fatica, e ogni passo avanti aumenta il senso di conquista personale.
Le boss fight rappresentano l’apice del gameplay: scontri brutali che richiedono attenzione ai pattern, memoria muscolare e gestione accurata delle risorse. Non si tratta soltanto di ostacoli da superare, ma di eventi narrativi a sé, momenti in cui Revion Prime rivela la sua natura più selvaggia e pericolosa.
Il world building e il gameplay di Dolmen sono insomma due facce della stessa medaglia: da un lato, il pianeta si racconta attraverso ambienti corrotti e silenzi inquietanti; dall’altro, il gameplay trasforma questa narrazione in esperienza concreta, in cui ogni combattimento e ogni passo diventano parte di un viaggio di sopravvivenza. Se il gioco può mostrare limiti tecnici o strutturali, è proprio questa integrazione a renderlo un’esperienza memorabile, capace di immergere il giocatore in un universo che, pur ostile, invita costantemente ad andare avanti.


Critica divisa
Quando si analizza Dolmen in chiave critica, occorre bilanciare l’oggettiva valutazione dei suoi limiti con il riconoscimento del valore creativo che un progetto di questo tipo rappresenta. L’opera di Massive Work Studio non è un titolo privo di difetti, ma allo stesso tempo non è nemmeno un semplice clone soulslike: possiede un’identità ben precisa, che emerge tanto dalle sue scelte estetiche quanto da quelle di gameplay.
Uno degli aspetti più apprezzabili di Dolmen è il coraggio della sua direzione artistica. Revion Prime non è un mondo qualsiasi, ma un ambiente in grado di imprimersi nella memoria. L’uso dei colori, il design disturbante delle creature e l’atmosfera costantemente opprimente sono elementi che funzionano, capaci di evocare emozioni di disagio e inquietudine. In un mercato in cui spesso gli scenari futuristici rischiano di apparire intercambiabili, Dolmen riesce a costruire un immaginario riconoscibile.
Il gameplay introduce alcune idee interessanti. La meccanica dell’energia e l’importanza delle armi a distanza rappresentano un arricchimento della formula soulslike, e il sistema di crafting contribuisce a dare un senso di progressione personalizzata. Anche le boss fight, pur non sempre perfette in termini di bilanciamento, riescono a trasmettere tensione e soddisfazione, diventando momenti di svolta nella campagna.
Il sound design, come già sottolineato, è un altro elemento notevole. L’uso dei suoni ambientali e la resa delle creature aliene amplificano l’immersione, rendendo l’esperienza più intensa di quanto la grafica, da sola, non riuscirebbe a fare. Questo dimostra che la produzione, pur con budget ridotti, ha saputo investire con intelligenza nei settori capaci di generare atmosfera.
Il primo limite evidente è di natura tecnica. Nonostante l’uso dell’Unreal Engine, Dolmen non raggiunge standard grafici elevati: texture poco definite qua e là, animazioni talvolta legnose e ambienti ripetitivi indeboliscono l’impatto visivo. Anche la stabilità non è sempre garantita, con cali di frame rate e bug che, seppur non devastanti, possono risultare frustranti in un genere che richiede precisione assoluta.


Un altro punto debole riguarda la narrazione. L’approccio frammentario, tipico dei soulslike, qui si rivela meno incisivo: mancano momenti davvero memorabili o personaggi che possano fungere da ancoraggi emotivi. La lore è interessante, ma rischia di rimanere troppo nebulosa, lasciando alcuni giocatori insoddisfatti. In altre parole, Dolmen stimola la curiosità, ma non sempre offre una ricompensa narrativa proporzionata, concludendo con un finale che in parte rispecchia tale prospettiva.
Sul fronte del gameplay, pur con spunti originali, emergono problemi di bilanciamento e ritmo. Alcuni scontri risultano ingiustamente punitivi più per colpa di imprecisioni tecniche che per reale difficoltà; altre sezioni invece sembrano trascinarsi, con nemici ripetitivi che minano la tensione. Anche il level design, talvolta troppo lineare, riduce il piacere dell’esplorazione, rendendo alcune aree simili tra loro.
Infine, va evidenziato che Dolmen non è un titolo pensato per tutti. La sua natura punitiva, unita ai difetti tecnici, rischia di scoraggiare chi non è già appassionato del genere soulslike. In mancanza di un sistema di accessibilità o di opzioni di difficoltà più flessibili, l’esperienza può risultare ostica e poco inclusiva.
Concludendo, Dolmen è un gioco che si colloca in una posizione ambivalente. Non riesce a competere, né pretende di farlo, con i grandi nomi del genere, ma al tempo stesso non si limita a imitarli. È un progetto ambizioso, che paga il prezzo dei limiti produttivi, ma che dimostra una forte identità. Il suo valore risiede nell’atmosfera aliena, nelle intuizioni di gameplay e nella capacità di trasmettere un senso costante di disagio e tensione.
Criticamente, si può affermare che Dolmen è un titolo consigliato a chi cerca esperienze particolari, disposte a perdonare difetti tecnici in cambio di un’estetica originale e di un approccio personale al genere. Non è perfetto, ma è sincero nella sua proposta: un viaggio in un mondo alieno che non concede tregua e che lascia al giocatore la responsabilità di affrontarne ogni orrore.


Dolmen
PRO
- Atmosfera unica e opprimente: Revion Prime è un pianeta che trasmette alienazione e inquietudine, con un world building coerente e suggestivo.
- Direzione artistica coraggiosa: utilizzo distintivo di colori, design disturbante delle creature e un’estetica che resta impressa.
- Meccaniche originali: introduzione delle armi a distanza come parte fondamentale del combat system, gestione dell’energia e crafting ben integrato.
- Boss fight degne di nota, con scontri intensi, capaci di unire spettacolarità visiva e sfida tecnica.
- Sound design immersivo, grazie a suoni ambientali, versi dei nemici e colonna sonora minimalista ma efficace che amplificano la tensione.
- Identità forte: nonostante i limiti produttivi, il gioco si distingue per coraggio e personalità.
CON
- Limiti tecnici: texture poco definite, animazioni legnose, cali di frame rate e bug che incidono talvolta sulla fluidità del gameplay.
- Level design talvolta lineare e ripetitivo: mancano varietà e senso di scoperta in alcune aree.
- Narrazione criptica ma poco incisiva: la lore è affascinante ma non sempre gratificante, con pochi momenti narrativi davvero memorabili.
- Bilanciamento non sempre riuscito: alcune sezioni risultano punitivamente difficili per via di imprecisioni tecniche, più che per reale sfida strategica.
- Colonna sonora poco distintiva: funzionale all’atmosfera, ma priva di tracce memorabili fuori dal gioco.