Limiti, scelte controverse e segnali di una crisi d’identità ormai strutturale.

Call of Duty: Black Ops 7

Con Black Ops 7, la saga di Call of Duty si trova di fronte a una delle sue prove più difficili. Non è semplicemente un capitolo meno ispirato: è l’indicatore di una fragilità strutturale che, negli ultimi anni, ha iniziato a manifestarsi in modo sempre più evidente all’interno della componente single-player. Se Modern Warfare e Black Ops 6 avevano dato segnali di una possibile rinascita della campagna, Black Ops 7 espone senza compromessi la progressiva disgregazione di una visione coerente, accentuata da scelte di design che si distaccano dai tratti distintivi che hanno storicamente definito l’identità del franchise.

La percezione dominante è quella di un progetto guidato dall’urgenza produttiva piuttosto che da una chiara direzione artistica, generando un racconto disomogeneo e un’esperienza ludica incapace di esprimere una chiara intenzionalità.

Connessione obbligatoria e interfaccia poco leggibile: l’inizio non è dei migliori

L’impatto iniziale è significativo nel delineare il tono dell’esperienza. L’obbligo di connessione costante, unito a un sistema di matchmaking che interferisce con l’accesso alla campagna, interrompe una ritualità consolidata: l’ingresso immediato nel racconto. L’interfaccia, densamente stratificata e priva di un criterio gerarchico evidente, frammenta l’esperienza ancor prima che inizi. Queste scelte non rappresentano solo un ostacolo pratico, ma il sintomo di un cambio di paradigma che mette l’infrastruttura al centro, relegando il giocatore solitario ai margini di un progetto concepito soprattutto per l’ecosistema online.

Call of Duty: Black Ops 7

Una narrazione debole, distante anni luce dagli standard storici della saga

Il comparto narrativo è la componente che più palesemente manifesta la mancanza di una visione unitaria. Black Ops 7 eredita la complessità del capitolo precedente ma tende a sminuirne i nodi anziché a svilupparli: la scelta di cristallizzare un finale canonico rilegge e semplifica fili narrativi potenzialmente ricchi, riducendo il ruolo di personaggi che avrebbero richiesto maggiore elaborazione. Il risultato è una trama episodica, priva di un avvolgente tessuto di progressione. Troppi comprimari restano confinati alle cutscene, senza che il gioco offra strumenti di coinvolgimento né tramite meccaniche né tramite scrittura; ciò priva le sequenze di una reale consistenza emotiva.

A spiccare è invece il lavoro degli interpreti: le performance di Mason, Marshall ed Emma Keagan forniscono spesso l’unico reale slancio emotivo del racconto. Tuttavia, la qualità recitativa, per quanto notevole, non basta a sanare la frammentazione strutturale dell’insieme né a trasformare episodi disgiunti in un arco narrativo coerente.

Design di gioco e filosofia dello shooting

Il gameplay di Black Ops 7 mette in luce un distacco marcato dalla grammatica ludica che ha storicamente definito la serie. La gestione delle armi, da sempre caratterizzata da un’identità meccanica e sensoriale distintiva, appare qui sorprendentemente omologata: le differenze tra gli arsenali si affievoliscono, il feedback tattile perde incisività e la rapidità dello shooting viene sacrificata a favore di una gestione delle risorse semplificata fino a risultare banale.

L’impossibilità di recuperare armi dai nemici – elemento cardine dell’azione “situazionale” tipica della saga – priva il giocatore di uno dei principali strumenti di adattamento strategico. Il sistema di munizioni, fin troppo generoso, annulla la tensione degli scontri, trasformando i combattimenti in sequenze prolungate e prive di reale necessità di pianificazione.

La presenza di una barra della vita unica e di nemici privi di indicazioni di danno localizzato trasforma gli scontri in lunghe sparatorie contro avversari che appaiono come vere e proprie “spugne da proiettili”, caratterizzati da una varietà comportamentale estremamente ridotta.

Tra pattern ripetitivi e set-piece incongrue: il lato debole del combattimento

La gestione dell’intelligenza artificiale mette in luce una carenza di calibrazione evidente: i nemici alternano momenti di relativa staticità a picchi di precisione innaturale, suggerendo un comportamento guidato più da pattern predefiniti che da logiche reattive e credibili. Questo sbilanciamento penalizza la sensazione di fronteggiare avversari “vivi” e rende gli incontri spesso prevedibili o, al contrario, ingiustamente punitivi.

Le boss fight, che avrebbero potuto costituire il picco emotivo e ludico della campagna, finiscono invece per incrinare ulteriormente l’esperienza. Scelte visive e meccaniche talvolta dissonanti – mosse sceniche e asset di gameplay non coerenti col tono del resto dell’avventura – generano sequenze più estranee che sorprendentemente memorabili. Anche le sequenze sperimentali – come la fuga nel traffico, pensata presumibilmente per rompere il ritmo – soffrono dell’assenza di un contesto narrativo e ludico che ne giustifichi l’inserimento. Invece di arricchire l’esperienza, questi momenti accentuano la sensazione di design episodico: riempitivi che interrompono il flusso senza integrarsi con la logica complessiva del gioco.

Comparto tecnico e stabilità

La performance complessiva garantisce una fluidità soddisfacente, pur mostrando cali di frame rate localizzati nelle sequenze più convulse. Sul versante visivo si registra invece un leggero arretramento rispetto a Black Ops 6: gli ambienti appaiono meno curati nella micro-dettagliatura e spesso costruiti con una composizione essenziale, efficace ma raramente memorabile.

La stabilità online – elemento cardine per un’esperienza che richiede connessione costante – si rivela intermittente, con sporadici episodi di lag e input delay che interrompono la continuità della campagna. Il peso della sola componente single-player, vicino ai 75 GB, appare sproporzionato rispetto alla quantità effettiva di contenuti offerti, mettendo in luce ampi margini di ottimizzazione nella gestione degli asset e nella distribuzione delle risorse.

Una transizione che pesa come una crisi

C’è qualcosa di profondamente irrisolto in questo nuovo capitolo: non solo nella sua struttura ludica, ma nella sua stessa ragion d’essere. Black Ops 7 si muove costantemente lungo una linea di confine instabile, sospeso tra la volontà di compiacere il pubblico storico e l’incapacità di rinnovarsi davvero. Il risultato è un’esperienza spesso funzionale, ma raramente ispirata, che sembra più rispondere a logiche di mercato che a una visione creativa coerente.

Si tratta, a tutti gli effetti, di un episodio di transizione, ma di quelli che segnano una frattura. Non tanto perché abbia il coraggio di rischiare, quanto perché mostra in modo evidente la stanchezza di una formula che continua a ripetersi senza interrogarsi fino in fondo sulla propria evoluzione. Le ambizioni ci sono, ma frammentate, soffocate da una struttura che preferisce il consolidamento al cambiamento.

Il gioco finisce così per mettere in luce un problema più ampio, che va oltre il singolo titolo: la crescente difficoltà della serie nel ripensarsi, nel ridefinire il proprio linguaggio, nel proporre un’esperienza che non sia soltanto la reiterazione più lucida possibile di un modello ormai logoro. Manca una direzione chiara, ma soprattutto manca il coraggio di intraprenderla fino in fondo.

In questo senso, Black Ops 7 appare più come il sintomo di una crisi creativa che come un’opportunità di rilancio. Un episodio che, pur non essendo privo di qualità tecniche e momenti riusciti, fatica a giustificare la propria esistenza all’interno di una saga che ha costruito il suo prestigio sull’innovazione costante e sull’abilità di interpretare – e spesso anticipare – il mercato.

Senza un deciso cambio di rotta, il rischio non è solo quello di continuare a perdere smalto, ma di assistere a un progressivo svuotamento di identità. E quando una saga arriva a questo punto, il problema non è più “quanto vende”, ma quanto riesce ancora a significare.

Perché, a lungo termine, non è la continuità a tenere in vita un brand, ma la sua capacità di trasformarsi senza tradire se stesso. E in questo momento, Black Ops sembra aver smarrito proprio quel delicato equilibrio che per anni ne aveva garantito forza, riconoscibilità e centralità nel panorama degli sparatutto contemporanei.

Call of Duty: Black Ops 7

“C’è qualcosa di profondamente irrisolto in questo nuovo capitolo: non solo nella sua struttura ludica, ma nella sua stessa ragion d’essere. Black Ops 7 si muove costantemente lungo una linea di confine instabile, sospeso tra la volontà di compiacere il pubblico storico e l’incapacità di rinnovarsi davvero. Il risultato è un’esperienza spesso funzionale, ma raramente ispirata, che sembra più rispondere a logiche di mercato che a una visione creativa coerente. Si tratta, a tutti gli effetti, di un episodio di transizione, ma di quelli che segnano una frattura. Non tanto perché abbia il coraggio di rischiare, quanto perché mostra in modo evidente la stanchezza di una formula che continua a ripetersi senza interrogarsi fino in fondo sulla propria evoluzione. Le ambizioni ci sono, ma frammentate, soffocate da una struttura che preferisce il consolidamento al cambiamento. Il gioco finisce così per mettere in luce un problema più ampio, che va oltre il singolo titolo: la crescente difficoltà della serie nel ripensarsi, nel ridefinire il proprio linguaggio, nel proporre un’esperienza che non sia soltanto la reiterazione più lucida possibile di un modello ormai logoro. Manca una direzione chiara, ma soprattutto manca il coraggio di intraprenderla fino in fondo. In questo senso, Black Ops 7 appare più come il sintomo di una crisi creativa che come un’opportunità di rilancio. Un episodio che, pur non essendo privo di qualità tecniche e momenti riusciti, fatica a giustificare la propria esistenza all’interno di una saga che ha costruito il suo prestigio sull’innovazione costante e sull’abilità di interpretare – e spesso anticipare – il mercato. Senza un deciso cambio di rotta, il rischio non è solo quello di continuare a perdere smalto, ma di assistere a un progressivo svuotamento di identità. E quando una saga arriva a questo punto, il problema non è più “quanto vende”, ma quanto riesce ancora a significare. Perché, a lungo termine, non è la continuità a tenere in vita un brand, ma la sua capacità di trasformarsi senza tradire se stesso. E in questo momento, Black Ops sembra aver smarrito proprio quel delicato equilibrio che per anni ne aveva garantito forza, riconoscibilità e centralità nel panorama degli sparatutto contemporanei.”

PRO

  • Interpretazioni di alto profilo, che conferiscono spessore, credibilità e intensità emotiva ai passaggi chiave dell’arco narrativo;
  • Buona tenuta del ritmo e della fluidità nelle sequenze meno congestionate.

CON

  • Narrazione frammentaria e caratterizzazione debole;
  • Perdita d’’identità dello shooting e appiattimento dell’arsenale;
  • Boss fight fuori registro rispetto alla serie;
  • Bilanciamento irregolare e intelligenza artificiale discontinua;
  • Boss fight fuori registro rispetto alla serie;
  • Limitazioni di accessibilità nel single-player;
  • Regressione tecnica rispetto al capitolo precedente;
  • Stabilità online tutt’altro che ottimale.
SCORE: 4

4/10

Ciao sono Luca un videogiocatore di 27 anni e vivo a Brescia. Sempre alla ricerca di nuove esperienze nel settore videoludico e cinematografico.