Si invecchia ma non si cambia (semmai si muta forma)
Era il 1989 quando Westone bit Entertainment pubblicò Wonder Boy III: The Dragon’s Trap per SEGA Master System II, l’avventura più epica della mia infanzia.
Draghi, armi, strani mostri, enigmi e oscuri sotterranei in un folle mondo colorato tutto da esplorare.
A prima vista il gameplay di Wonder Boy III: The Dragon’s Trap appare come un classico platform anni ’80, con continui salti tra ostacoli e nemici
In pochi minuti tuttavia il titolo mostra una quantità sorprendente di elementi RPG: incantesimi, potenziamenti e abilità contribuiscono a rendere unico questo piccolo gioiello retrò.
Un Drago per antipasto:
La trama è estremamente semplice e si riallaccia al finale del precedente episodio: Wonder Boy in Monster Land.
Il Mecha Dragon è stato sconfitto, la bestia non si aggira più nelle segrete del castello… eppure col suo ultimo respiro riesce a maledire il nostro eroe trasformandolo in un Uomo-Lucertola. Qui inizia la ricerca della Croce Salamandra in grado di spezzare la maledizione, nascosta chissà dove a Monster Land.
Ogni volta che un nuovo boss verrà sconfitto la maledizione si complicherà, conferendo un’altra forma antropomorfa a Wonder Boy. Alla trasformazione sono però associate nuove abilità.
Il tempo di gioco non brilla per longevità (circa 4 ore), ma il mondo che Wonder Boy deve esplorare è uno dei viaggi più soddisfacenti nella storia dei videogames.
È uno di quei giochi in cui ti chiedi “che succederà se porto questa nuova/o abilità/oggetto in questo posto…?” e, spesso una ricompensa ripaga lo sforzo di memoria.
Il mondo è pieno di porte segrete e Easter Eggs che bene si equilibrano con la routine platform-hack’n’slash di ogni nuovo percorso.
Ogni nuovo negozio si accompagna alla frenesia di aumentare i punti di attacco/difesa, perché ogni arma/scudo/armatura ha le sue statistiche (SEGA sa benissimo che sono il modo più veloce per raggiungere il cuore di ogni NERD).
Alcuni oggetti introducono nuove abilità utili a sbloccare nuove parti inesplorate della mappa.
Un Cuore Retrò
L’aspetto è sempre quello di un titolo degli anni ’80, con tutti i difetti dell’epoca.
Hitbox dei nemici grezze, piattaforme di salto a volte approssimative e sfondi monocromatici che bruciano le retine (provate a giocarci con un TV a tubo catodico!), ma resta comunque uno dei titoli più azzeccati nel definire il genere metroidvania.
L’esplorazione del mondo 2D nei panni di un vero ammazzadraghi è sempre dannatamente divertente.
Limitata dalla totale assenza di una mappa e da qualsiasi suggerimento sulle abilità acquisite col cambio della forma.
Quasi ovvio il paragone con il primo Metroid.
Salviamo il salvabile
Anche il metodo di salvataggio nel 1989 era un vero casino, con un sistema di password molto lunghe (e non così affidabili).
Ricordo ancora l’ansia di scrivere file e file di codici su un pezzo di carta e proteggerli come se fossero veri e propri tesori.
Erano tempi in cui i segreti e i codici scoperti erano tramandati agli amici come una forma di rituale sociale.
In linea con questa tradizione gli sviluppatori hanno messo davvero molto impegno nel piazzare ghost walls e porte nascoste in modo da non risultare eccessivi o banali.
La difficoltà di questo platform non è paragonabile ad un titolo come Ghosts ‘n Goblins, ma senza dubbi costituisce una sfida per pochi se l’intenzione è quella di scovare tutti gli easter eggs.
Nel 2017 l’indipendente LizardCube ha sviluppato un meraviglioso restyling pubblicato da DotEmu, e ho avuto modo di rigiocare Wonder Boy III: The Dragon’s Trap su Nintendo Switch.
L’impressione è stata quella di un buon vino invecchiato bene. Fondali disegnati a mano, azione fluida e un sistema di salvataggio degno di un piccolo grande gioco come questo.
Inoltre Ryuichi Nishizawa, creatore della serie originale di Wonder Boy, ha partecipato allo sviluppo del rework. Anche questo mi ha rassicurato sul fatto che l’anima del gioco non si sia smarrita durante il restyling.
La leggenda di una melodia:
Un grande punto a favore di Wonder Boy III: The Dragon’s Trap risiede nella sua colonna sonora: orecchiabile ma epica.
Mirabile prodotto dell’età d’oro della chiptune: il compositore Shinichi Sakamoto ha fatto un uso straordinario degli 8 canali che aveva a disposizione su SEGA Master System II (usando un PSG Texas Instruments SN76489).
In questa intervista del 2013 ha affermato di essere stato fortemente influenzato dal jazz e dal country-folk.
E quando il gioco è stato rielaborato nel 2017 la colonna sonora è stata riarrangiata da Michael Geyre, che ha ricalcato perfettamente l’aggiornamento grafico con un suono più rotondo che però non alterasse la sensazione di avventura che la musica conferisce all’insieme.
Wonder Boy III: The Dragon’s Trap è un titolo imperdibile per ogni fan dei moderni platform o metroidvania.
La sua eredità non si può stimare dall’aspetto esteriore. È un qualcosa che miscela alla perfezione la logica degli enigmi alla complessità di una mappa non lineare.
Bisogna concedere a questa esperienza almeno un’ora di gameplay per capire l’assuefazione che riesce a trasmettere
Wonder Boy III: The Dragon’s Trap
PRO
- Interessante mix di generi
- Gameplay molto coinvolgente
CON
- Hitbox grezzi
- sistema di salvataggio rudimentale fino al 2017