MachineGames ci regala una storia dal sapore spielberghiano e scorci mozzafiato, ma inciampa in un combat semplificato e uno stealth poco incisivo.
Il nuovo titolo di MachineGames, prodotto da Todd Howard — grande appassionato della saga — e supervisionato da Lucasfilm, sembrava avere tutte le carte in regola per riportare il Dottor Jones in grande stile nel mondo videoludico. Metà dell’obiettivo viene centrato: la narrazione scorre fluida, arricchita da personaggi perfettamente in sintonia con l’atmosfera “Indy” — una qualità che ultimamente è spesso mancata ai franchise Disney. Peccato che, superato l’entusiasmo iniziale, emergano le prime criticità: un gameplay poco rifinito, eccessivamente semplificato e talvolta frustrante, con pochi approcci alternativi e picchi di difficoltà forzati. Andiamo a scoprire nel dettaglio l’ultima avventura di Indy…

Una narrativa all’altezza di Spielberg
Indiana Jones e l’Antico Cerchio attinge al meglio dell’universo di Indy, collocandosi a metà della trilogia originale, subito dopo I predatori dell’Arca perduta. La celebre sequenza dell’idolo d’oro viene ricreata con assoluta precisione, mentre il tutorial ambientato al Marshall College funziona alla perfezione, testimoniando l’attenzione maniacale dedicata a regia e sceneggiatura.
Tra Vaticano, Egitto, Himalaya e altre ambientazioni ricchissime di dettagli, incontriamo personaggi di grande spessore:
- L’archeologo Voss, antagonista manipolatore e instabile, con forti rimandi a Frau Engel (Wolfenstein) e alla villain de Il teschio di cristallo;
- Gina Lombardi, misteriosa reporter dal passato rocambolesco — doppiata con energia e charme da Alessandra Mastronardi, che le dona un fascino irresistibile — determinata a ritrovare la sorella scomparsa.
Merita una menzione speciale la “comparsa” di Mussolini, caratterizzato e animato con estrema cura, che regala sequenze memorabili nel livello ambientato in Vaticano.
E infine, c’è lui: Indiana Jones, modellato sull’iconico Harrison Ford e doppiato magistralmente dall’eccellente Troy Baker (famoso per Revolver Ocelot, Joel, Higgs). Riportare Indy agli antichi fasti non era semplice, ma sul piano narrativo il team ha pienamente centrato l’obiettivo.

Un gameplay non all’altezza di MachineGames
Se c’è un aspetto in cui Indiana Jones e l’Antico Cerchio inciampa senza attenuanti, è il sistema di gioco vero e proprio: combattimento, armi da fuoco e stealth sembrano estrapolati da tre giochi diversi, nessuno dei quali completamente rifinito.
Il corpo a corpo, cuore pulsante dell’esperienza, si riduce a una serie ripetitiva di pugni leggeri o potenti, lontani dall’agilità e dall’inventiva di Indy come visto al cinema. Anche i nemici più basilari reggono spesso cinque colpi senza mai reagire in modo credibile: zero schivate, zero contrattacchi degni di nota, solo un’animazione di stordimento che li prepara alla caduta.
Sul fronte armi da fuoco, la situazione non migliora. L’intento di ricreare il feeling “ruvido” della trilogia originale era promettente, ma qui le pistole risultano poco efficaci: scarsa potenza d’arresto e un feedback di tiro insoddisfacente, specie per uno studio noto per il gunplay granitico di Wolfenstein. Scegliere lo scontro a fuoco, insomma, è una scelta quasi priva di vantaggi: si consumano munizioni senza un reale impatto. Una gestione così superficiale delle armi è inaccettabile.
La meccanica stealth è ridotta all’osso: ti nascondi, afferri un’arma improvvisata, elimini il bersaglio alle spalle. Purtroppo, l’intelligenza artificiale è rigida come un automa: le guardie seguono schemi fissi, ignorano distrazioni e non si muovono nemmeno se lanci oggetti per attirarle. Se vieni scoperto e tenti uno scontro diretto, la morte è pressoché immediata: il gioco non supporta questa strategia, sfociando in un frustrante “trial & error”.
Fortunatamente, le sezioni esplorative riescono a salvare la media. Tra templi, piramidi, sotterranei vaticani e cime innevate dell’Himalaya, MachineGames dimostra un’attenzione maniacale ai dettagli ambientali: volte affrescate, corridoi ricchi di particolari, panorami che invitano a fermarsi e ammirare. Gli enigmi ambientali, spesso basati sull’uso della frusta e sulle acrobazie di Indy, sono generalmente ben calibrati: pochi risultano confusionari, ma mai insormontabili. In questi momenti, l’avventura riacquista quella magia pulp fatta di rovine antiche, trappole e passaggi segreti che ci si aspettava dal ritorno del Dottor Jones.

La frusta: un’occasione mancata
Come direbbe Blazkowicz, “si possono fare molte cose con una frusta e un nazista”: purtroppo, MachineGames non ha sfruttato appieno le infinite potenzialità che la frusta di Indy avrebbe potuto portare al gameplay. Nei film, Indy utilizza la frusta in mille modi diversi; qui invece serve quasi esclusivamente a disarmare o stordire i nemici e, soprattutto, a superare ostacoli ambientali durante l’esplorazione e nella risoluzione degli enigmi, dove si rivela indispensabile. Un’implementazione più ricca e variegata avrebbe spalancato nuove e stimolanti possibilità ludiche — possibilità che MachineGames, in passato, ha dimostrato di saper gestire con maestria (Wolfenstein II docet).

Valutazione finale
Il tallone d’Achille di Indiana Jones e l’Antico Cerchio risiede in un bilanciamento tutt’altro che equilibrato: se trama, regia ed esplorazione brillano con intensità, combattimento e stealth arrancano, lasciando un senso di incompiutezza. Chi avrà la pazienza di superare le prime due ore di gioco si troverà comunque di fronte a un’avventura piacevole, ma distante dallo status di “indimenticabile” che MachineGames avrebbe potuto — e dovuto — raggiungere.
Indiana Jones e l’Antico Cerchio
PRO
- Storia avvincente
- Regia di alto livello
- Performance di Voss, Mussolini e Indy
- Ambientazioni di Egitto e Vaticano
- Sequenza introduttiva
- Ottimizzazione tecnica su console
CON
- Armi da fuoco quasi inutili
- Combattimento corpo a corpo ripetitivo
- Stealth elementare
- IA poco reattiva
- Frusta sottoutilizzata