Sviluppato da Dougbomb e distribuito da Raw Fury, Blue Prince è un’avventura solitaria alla scoperta della stanza 46, per la conquista di un’eredità fondata su oscuri segreti.
Parlare di un gioco come Blue Prince non è mai semplice. Ci sono molte componenti da analizzare e il tutto stando attenti al non fare spoiler. Inoltre c’è la consapevolezza di aver sicuramente mancato segreti o addirittura interi elementi di gioco importanti. Infatti le sinergie tra gli oggetti e le stanze stesse, insieme alla profondità degli enigmi lascia il giocatore con la sensazione di essersi sempre perso qualcosa. Addirittura si rischia di cliccare e tentare anche la combinazione più assurda in ogni stanza, nella speranza di scoprire qualcosa.
Come tratteremo più avanti, l’obiettivo di Blue Prince è raggiungere la fantomatica stanza 46 della villa di MT. Holly.
Obiettivo di per sé non semplice per via della particolarità della villa stessa che però, una volta raggiunto, ci lascerà intendere che c’è molto di più da scoprire. Un’intricata rete di relazioni, ricatti, mosse politiche e piani oscuri che spostano l’attenzione da quello che una volta credevamo fosse l’obiettivo principale.
Ovviamente il raggiungere la stanza 46 sarà quasi sempre un must e come ogni roguelite che si rispetti, ogni raggiungimento dell’obiettivo ci rende più consapevoli della trama e scopriremo sempre qualcosa in più.
Una villa che cambia, il gameplay
Come accennato nell’incipit della storia, il nostro protagonista Simon, eredita l’intera tenuta di Mt. Holly.
L’unico problema è che questa tenuta deve essere costruita dal protagonista, stanza per stanza, fino a poter arrivare all’anticamera della stanza 46.
Durante la costruzione del percorso verso l’obiettivo abbiamo l’opportunità di creare numerose stanze, ognuna delle quali rivela segreti interni ed indizi per altri enigmi e scoperte.
Talvolta è anche bello perdersi per scoprire ciò che nascondono, per poi arrivare a capire che abbiamo trovato qualcosa di fondamentale per la trama.
Blue Prince divide le partite in giornate. Simon è accampato fuori dalla tenuta, in una tenda da campeggio. All’inizio della giornata entriamo nella sala principale e davanti troviamo 3 porte chiuse. Avvicinandoci ad ognuna di esse possiamo scegliere tra 3 progetti di stanza da scegliere. Ovviamente nella costruzione dobbiamo tener conto il tipo di stanza da costruire nonché come sono posizionate le sue uscite, se ce ne sono.
Le stanze appartengono a diverse categorie, contrassegnate da colori differenti. Ad esempio le stanze rosse porteranno alcuni malus al giocatore, le verdi sono quelle orientate verso la natura e sono spesso generose di gemme, altre racchiudono sale e marchingegni meccanici da attivare dopo aver risolto degli enigmi, altre dei bonus.
Il tutto per crearci un percorso verso la stanza 46.
Vogliamo tenerci sul vago per non far perdere il senso della scoperta a chi giocherà.



Uno storytelling sottile e stratificato
La narrazione di Blue Prince è un esercizio di sottrazione. Non si impone mai, tuttavia è lì, onnipresente. È un puzzle narrativo, disseminato tra lettere, frammenti ambientali e dettagli che a una prima run – o a una seconda, terza, quarta – rischiano di sfuggire.
Simon è un personaggio quasi trasparente. Non perché sia piatto, ma perché è uno specchio: chi gioca gli presta volontà e immaginazione. Il suo silenzio è un invito a esplorare la villa non solo come luogo fisico, ma come estensione simbolica di una psiche in crescita, in formazione. Lo sviluppo narrativo non segue un arco classico: non ci sono cinematics, non ci sono scelte binarie. C’è invece un senso progressivo di scoperta e di responsabilità. Ogni stanza svelata, ogni documento recuperato, ogni evento minore letto tra le righe contribuisce a costruire un mondo sfaccettato, in cui il potere dell’eredità si confonde con quello della verità.
Il racconto è nascosto, quasi ostile a chi cerca scorciatoie, e questo lo rende ancora più appagante. Il giocatore è chiamato a diventare detective, archeologo, psicologo: a mettere insieme indizi narrativi e dare loro un significato. Non c’è moralismo, ma ci sono scelte da fare. Non ci sono dialoghi, ma ci sono conseguenze. Lo storytelling di Blue Prince è il tipico esempio di “show, don’t tell” portato all’estremo: tutto è detto tra le righe, e sta a te leggerle.
Quella che inizia come un’eredità privata si apre su un mondo fittizio e frammentato, dove affiorano tensioni politiche e storiche solo accennate, ma mai del tutto nascoste. Si percepisce una complessità fatta di regioni diverse, fazioni rivali, nomi cancellati e libri riscritti. L’inquietudine non viene dai mostri o dagli orrori, ma dal dubbio: cosa è stato nascosto, e perché?
Ogni ambiente racconta una porzione della verità, ogni scoperta ribalta ciò che si pensava di sapere. Non ci viene detto nulla, ma tutto parla: e la casa stessa, alla fine, diventa la biografia silenziosa di un intero sistema.
Chiavi, gemme, monete e passi
Altro dettaglio importante in Blue Prince è quello dei passi, dei consumabili e degli oggetti che serviranno per aprire le porte chiuse: monete, gemme e chiavi.
Partiamo dal semplice: le monete servono appunto per acquistare consumabili e oggetti nella tenuta. Possono essere trovate nelle stanze e aumentate, soddisfando certe condizioni.
Allo stesso modo lavorano gemme e chiavi, solo che quest’ultime servono quasi esclusivamente ad aprire alcune porte chiuse.
Discorso differente va fatto per i passi. Ogni giornata il personaggio parte con un numero finito di passi.
Ogni stanza che attraversiamo consumerà un passo, quindi anche un eventuale backtracking ne consumerà altrettanti. Altre stanze potranno consumarne di più oppure restituirvi passi aggiuntivi. Oltre a questo per le stanze della magione troveremo del cibo che potrà restituirci un numero esiguo di passi.
Una volta terminati i passi dobbiamo scegliere l’opzione Call a Day ed interrompere la giornata. Infatti non potremo restare nella villa ma accamparci fuori e ricominciare un nuovo progetto la mattina dopo.
Oltretutto potremmo anche avere ancora dei passi, ma non avere più stanze da aprire e visitare.
Anche questo porta alla fine anticipata della giornata.
Elemento roguelite e pianificazione.
Blue Prince rielabora l’elemento roguelite sia nella gestione randomica delle stanze, che nei miglioramenti che rimarranno stabili anche nelle giornate successive.
Gestire le stanze dipende anche dall’esperienza del giocatore. Innanzitutto una volta craftata una stanza, questa non comparirà più (a meno che abbia condizioni speciali). Alla luce di questo e scoprendo come funzionano le sinergie tra stanze diverse, sta al giocatore cercare di pianificare il più possibile lo spawn delle stanze. Investendo tempo nell’esplorare ogni stanza si raccolgono indizi che se messi insieme permettono di ottenere dei power up permanenti.
Anche gli oggetti che si trovano randomicamente nella villa, sono fondamentali per il raggiungimento di certi obiettivi. Purtroppo per quanto sia potenzialmente pianificabile il tutto, senza l’oggetto giusto tutti gli sforzi risultano vani, ponendo fine alla giornata.
C’è un modo anche per far sì di avere l’oggetto giusto anche se il caso ha sempre l’ultima parola.



Una sobrietà che inquieta
Dal punto di vista visivo, Blue Prince riesce in qualcosa di raro: comunicare inquietudine e mistero con uno stile grafico essenziale. Non si affida al fotorealismo o a texture iper-dettagliate, ma a un design pulito, geometrico, quasi schematico. Ed è proprio questa semplicità, a tratti surreale, a far risaltare la stranezza degli ambienti.
Ogni stanza è unica, sia per struttura che per palette cromatica. I colori non sono solo estetici, ma funzionali: come già accennato, identificano la categoria della stanza e suggeriscono implicitamente la sua funzione o pericolo. Questo uso della grafica come linguaggio visivo è una delle cifre più raffinate del gioco. Le icone, i simboli, i dettagli ambientali… tutto è studiato per parlare al giocatore senza parole. C’è una coerenza stilistica che, pur nella varietà, mantiene sempre quella sensazione di essere all’interno di un mondo preciso, riconoscibile, ma in qualche modo alieno.
Interessante anche l’interfaccia, minimale ma efficace. Non distrae, non invade la scena, ma accompagna con discrezione. Il layout dei menù è funzionale e intuitivo, ma è nel design delle mappe e dei progetti stanza che si vede la vera cura per l’aspetto visuale. L’estetica è al servizio dell’esperienza e il risultato è straniante e ipnotico.
Tiriamo le somme
Blue Prince si presenta come un gioco notevole, complesso ed estremamente articolato. Nonostante la sua cripticità e l’elemento randomico coinvolge il giocatore spingendolo a continuare una giornata dopo l’altra.
Anche dopo una run deludente c’è comunque la voglia di tentare un’altra volta.
Una volta capito il mood il gioco sembra farsi leggere e vi assicuriamo che vi ricompenserà col suo grande senso di scoperta. Immaginare di essere un adolescente, unico erede di una fortuna, che gira da solo in un silenzioso e gigantesco maniero è una sensazione alienante ed intrigante allo stesso tempo.
Quelle mura hanno molto da raccontare grazie alle lettere rosse: storie di intrighi, tradimenti, ricatti ed oscuri segreti, ed ancora non credo che abbiamo scoperto tutto.
Quasi un viaggio di formazione che porta Simon ad essere consapevole del mondo che gli è stato donato in eredità e deve dimostrare di esserne degno.
Blue Prnce
PRO
- Narrativa stratificata e sottile, tutta da scoprire
- Gameplay molto intelligente
- Stile grafico minimalista ma ricco di personalità
- Design delle stanze intelligente e coerente
- Profonda interazione tra stanze, oggetti ed enigmi
- Forte senso di progressione e scoperta
- Buona rigiocabilità grazie agli elementi roguelite
- Interfaccia pulita e funzionale
- Storytelling ambientale sofisticato e coinvolgente
CON
- Elementi randomici a volte frustranti
- Mancanza di spiegazioni può disorientare i giocatori meno pazienti
- Progressione legata ad oggetti trovati casualmente
- Ritmo lento e contemplativo non adatto a tutti
- Alcuni segreti troppo criptici o facili da mancare